        Nuova gara nel continente americano e seconda puntata della rubrica &ldquo;Paese che vai, pilota che trovi&rdquo;. Per la #RoadToAustin oggi vediamo tutti i piloti americani del Motomondiale, da quelli pi&ugrave; vincenti ai one season wonder. A differenza dell&rsquo;Argentina che ha prodotto solamente Porto, Rodrigo e Valentin Perrone, la scuola nordamericana del motomondiale ha prodotto un numero enorme di piloti, titolati o meno, che hanno dato spettacolo sui tracciati di tutto il mondo.&nbsp;  Kenny Roberts capostipite e primo titolato, Freddie Spencer l&rsquo;eroe delle due classi  Se qualche traccia di pilota americano si &egrave; intravista sul finire degli anni 60, &egrave; dagli anni 70 che dal Nord America arrivano in massa piloti dalle grandi doti di guida, provenienti dal campionato nazionale AMA. Il capostipite della colonia americana del Motomondiale &egrave;, senza dubbio, il grande Kenny Roberts. Kenny debutta in 250 nel 1974 con la Yamaha e non lascer&agrave; mai pi&ugrave; le moto di Iwata, diventandone team manager poi tra gli anni 80 e 90.&nbsp; Kenny arriva 4&deg; in 250 nel 1978 con due vittorie e due secondi posti, ma &egrave; in 500 che ottiene le fortune maggiori con ben tre titoli consecutivi tra il 1978 ed il 1980. Nel 1981 chiude terzo e nel 1983 chiude secondo per due punti alle spalle di Freddie Spencer. Un altro grande degli anni 80 e tre volte iridato proprio come il &ldquo;marziano&rdquo; Kenny Roberts &egrave; nientemeno che &ldquo;Fast&rdquo; Freddie Spencer, fino all&rsquo;anno scorso capo dello Steward Panel della FIM. Freddie debutta nel 1980 in 500 con la Yamaha ma sar&agrave; con la Honda che far&agrave; i risultati migliori. Nel 1983 batte di appena due punti Kenny Roberts, mentre nel 1985 fa la storia vincendo nello stesso anno 250 e 500. Dall&rsquo;86 la sua carriera &egrave; in discesa: solo 4 punti tra l&rsquo;86 e l&rsquo;88 prima di appendere il casco al chiodo. Nell&rsquo;89 &egrave; Giacomo Agostini a convincerlo a rientrare in scena: 33, 5 punti con un quinto posto in spagna come miglior risultato in gara. Centra 2 punti nel 93 con la ROC Yamaha.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; Pat Hennen primo americano vincitore in 500, Randy Mamola re senza corona  Se Kenny Roberts &egrave; stato il primo americano iridato, Pat Hennen, che &egrave; scomparso lo scorso anno a 71 anni, &egrave; stato quello che ha centrato il primo successo in Top Class. Il nativo dell&rsquo;Arizona ha debuttato nel 1976 con Suzuki andando a bersaglio in Finlandia nello stesso anno. Hennen ha poi messo a referto altre due vittorie: una nel 1977 in Inghilterra e una nel 1978 in Spagna, stagione poi abortita dopo il secondo posto al Mugello per via di un incidente al Senior TT.&nbsp; Se Stirling Moss &egrave; stato il re senza corona per eccellenza in Formula 1, lo stesso ruolo lo ha ricoperto nel Motomondiale un certo Randy Mamola. Californiano di San Jose, Randy ha debuttato nel 1979 disputando tutte e tre le classi: 250, 350 e 500 in sella a Yamaha e Suzuki con tre podi in 250 e due in 500. Dal 1980 al 1982 vince 5 gare e sale altre 9 volte sul podio chiudendo due volte secondo il Mondiale: nel 1980 alle spalle di Kenny Roberts e nel 1981 alle spalle di Lucchinelli, mentre nel 1983 &egrave; terzo. Centra ancora il titolo platonico di vicecampione nel 1984 con la Honda alle spalle di Eddie Lawson e in Yamaha nel 1987 alle spalle di Wayne Gardner. Randy Mamola &egrave; stato uno dei primi funamboli del motomondiale, prima dell&rsquo;arrivo di Kevin Schwantz.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; La dinastia dei fenomeni: Lawson, Schwantz, Rainey, Kocinski  Abbiamo nominato poco fa Eddie Lawson parlando di Randy Mamola, ed ecco che apriamo questo capitolo ripercorrendo la sua storia. Californiano di Upland, Eddie debutta in 500 nel 1983 con la Yamaha dopo tre apparizioni in 250 con la Kawasaki nel 1981. Nel 1984 centra subito il bersaglio grosso vincendo il Mondiale davanti a Randy Mamola, mentre nel 1985 chiude secondo alle spalle di Freddie Spencer. Con Yamaha vince anche i titoli del 1986 e 1988 prima di accasarsi in Honda e portarsi a casa il suo quarto titolo iridato nel 1989. A conti fatti, Lawson &egrave; il pilota americano pi&ugrave; titolato.&nbsp; Se parliamo di funamboli non si pu&ograve; non citare il mitico #34 Kevin Schwantz. Texano di Houston, Kevin debutta direttamente in 500 con la Suzuki nel 1986. Nel biennio 86-87 raccoglie appena 13 punti, mentre dal 1988 si scatena. Nel 1988 vince in Giappone e Germania chiudendo ottavo, nel 1989 le vittorie diventano 6 per chiudere al quarto posto. Sfiora l&rsquo;iride nel 1990 trovando sulla sua strada un grande Wayne Rainey. Il binomio Schwantz-Rainey nei primi anni 90 d&agrave; vita a grandissimi duelli per vittorie e titoli iridati. L&rsquo;alloro per Kevin arriva nel 1993 ma in circostanze piuttosto &ldquo;fortunose&rdquo; per via dell&rsquo;incidente che interrompe la carriera di Rainey a Misano. Nel 1994 non riesce a difendere il suo numero 1 che finisce sul cupolino dell&rsquo;australiano Doohan. Schwantz chiude la sua carriera a met&agrave; del 1995 dopo un infortunio pesante al polso. Tra i fenomeni di fine anni 80 e inizio anni 90 &egrave; impossibile non citare il grande Wayne Rainey. Californiano di Los Angeles, Wayne debutta nel Mondiale in 250 nel 1984 con la Yamaha. Passa in 500 nel 1988 e subito chiude il campionato al terzo posto, arrivando poi secondo alle spalle di Lawson nel 1989. Dal 1990 fino a Misano 1993 la 500 &egrave; praticamente sua: tre titoli iridati consecutivi tra il 1990 ed il 1992. Mentre &egrave; avviato verso il quarto alloro consecutivo, il 5 settembre 1993 si interrompe bruscamente la sua carriera per via di un incidente a primo impatto banale ma che si rivela devastante per la sua colonna vertebrale che sbatte sul cordolo del Curvone spezzandosi e rendendo Rainey paraplegico.&nbsp; Tra la fine degli anni 80 e l&rsquo;inizio degli anni 90 il Motomondiale ha conosciuto anche John Kocinski. Nativo di Little Rock in Arkansas, John ha debuttato in 250 nel 1988 con la Yamaha. Nel 1989 vince due gare ma chiude solamente quattordicesimo. Il 1990 &egrave; l&rsquo;anno del suo primo ed unico alloro nel Motomondiale con 7 vittorie e 12 podi complessivi. Nel 93 inizia la stagione in Suzuki per trasferirsi in Cagiva. Corre in 500 dal 1991 al 1999 con Yamaha, Cagiva ed Honda centrando due terzi posti a fine stagione nel 1992 e 1994.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; Tale padre, tale figlio: Kenny Roberts Jr come pap&agrave; Kenny. Hayden ultimo iridato  Se in Formula 1 solamente Damon Hill e Nico Rosberg hanno bissato il titolo del proprio padre, nel Motomondiale l&rsquo;unico binomio titolato padre-figlio &egrave; quello dei Roberts, con Kenny Jr iridato nel 2000. Californiano di Mountain View, Kenny Jr debutta in 250 nel 1993 con la Yamaha. Ottiene risultati di rilievo nella quarto di litro solamente nel 1995 con un ottavo posto finale in campionato. Nel 1996 passa in 500 con la Yamaha, nel biennio 97-98 corre con la Modenas KR3 del padre Kenny Senior. Passa in Suzuki nel 1999, vince 4 gare e chiude al secondo posto alle spalle di Alex Crivill&eacute;. Con altre 4 vittorie vince il titolo del 2000 davanti a Valentino Rossi. Dal 2001 al 2005 centra altri tre podi con la Suzuki tra 500 e MotoGP, nel 2006 guida la KR211V nel team del padre centrando gli ultimi due podi della carriera. L&rsquo;ultimo iridato della dinastia americana &egrave; l&rsquo;indimenticato Nicky Hayden. Nativo di Owensboro, Kentucky Kid ha debuttato in MotoGP nel 2003 nel team ufficiale Honda Repsol al fianco di Valentino Rossi, instaurando con lui subito un grande rapporto di amicizia. Dal 2003 al 2008 Nicky corre con la Honda ufficiale vincendo in totale tre gare, una nel 2005 a Laguna Seca e due nel 2006, Assen e ancora Laguna Seca. Il punto pi&ugrave; alto in MotoGP &egrave; ovviamente il titolo iridato del 2006 davanti a Valentino Rossi per soli 5 punti. Nel 2009 passa in Ducati, tre soli podi fino al 2013 prima del ritorno in Honda nel biennio 2014-2015. Menzioni onorevoli  Tra i piloti americani passati dal Motomondiale bisogna ricordare, in rigoroso ordine alfabetico: Mike Baldwin, 6 podi nel Motomondiale tra il 1979 e il 1988, Cameron Beaubier, nel 2009 in 125 e in Moto2 nel biennio 2021-2022 senza risultati di rilievo, Doug Chandler, 6 podi in 500 tra il 1991 ed il 1994, Colin Edwards, 12 podi in MotoGP tra il 2004 e il 2011, John Hopkins, 4 podi in MotoGP con la Suzuki nel 2007, Ben Spies, 1 vittoria e 6 podi in MotoGP dal 2010 al 2012.       

Kenny Roberts Senior, Freddie Spencer, Eddie Lawson, Kevin Schwantz, Wayne Rainey, John Kocinski, Kenny Roberts Jr e Nicky Hayden tra gli iridati della scuola americana

Dagli USA con furore: tutti gli americani del Motomondiale

        In 22 anni di MotoGP il progetto della YZR-M1 ha cambiato pelle pi&ugrave; volte, anche per via delle variazioni dei regolamenti, ma ha sempre mantenuto la sua filosofia: motore 4 cilindri in linea e telaio deltabox in alluminio. Anche se per il futuro &egrave; pronto un V4 come le sue concorrenti Ducati, Aprilia, KTM e soprattutto Honda. Nella sua storia in MotoGP, Yamaha ha conosciuto gli anni splendenti dei trionfi ma anche gli anni bui, come il 2003 o il biennio 2023-2024.&nbsp; Con l&rsquo;arrivo di Max Bartolini proprio dalla Ducati ad inizio 2024, sul finale della stagione qualcosa di positivo si &egrave; visto ed anche l&rsquo;ingresso di Prima Pramac come team satellite &egrave; il segno che da Iwata vogliono un cambio di rotta immediato per ritornare a lottare per le posizioni che contano.&nbsp; Com&rsquo;&egrave; cambiata la M1 nel corso degli anni?&nbsp;  2002: l&rsquo;ibrido MotoGP &ndash; 500  Come &egrave; stato per Honda, anche Yamaha ha sviluppato e testato nel corso del 2001 il suo prototipo MotoGP per la stagione 2002 affidandolo a Max Biaggi e John Kocinski. All&rsquo;alba della nuova stagione, i piloti del team ufficiale Marlboro Yamaha che porta in pista la nuova YZR-M1 sono Max Biaggi e Carlos Checa, nientemeno che la coppia ufficiale degli ultimi anni in 500. Il progetto &egrave; un ibrido tra la vecchia YZR500 e la nuova M1: della vecchia moto restano telaio e ciclistica, abbinate per&ograve; non al V4 ma ad un 4 in linea a carburatori. Inizialmente di 942 cc di cilindrata, durante la stagione viene portato a 990 cc, anche il telaio viene aggiornato pi&ugrave; volte per combinarsi a serbatoi di diversa forma e perfezionare il posizionamento del motore. Biaggi chiude al secondo posto con 140 punti di ritardo da Rossi e 2 vittorie, la sua Brno e Malesia. 2003: arriva l&rsquo;iniezione elettronica  L&rsquo;M1 del 2003 &egrave; un mero aggiornamento della versione &ldquo;B&rdquo; della seconda parte del 2002 ma con una novit&agrave; sostanziale per quanto riguarda il propulsore: Yamaha abbandona i carburatori per sposare l&rsquo;iniezione elettronica, adottando un sistema di controllo del minimo che regolava automaticamente l&rsquo;apertura della farfalla su due cilindri. Annus horribilis il 2003 di Yamaha con un solo podio conquistato (Barros terzo a Le Mans) e nessuna vittoria, addirittura terzo posto nei costruttori dietro ad Honda e Ducati.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 2004-2005: il brutto anatroccolo diventa un magnifico cigno  Dopo il disastro del 2003, da Iwata arriva un diktat ben preciso: rivoluzione totale. Arriva Valentino Rossi che si porta dietro Jeremy Burgess e tutto il suo team dalla Honda. Della M1 2003 rimane solo la forma, ma sotto la pelle cambia tutto, a partire dal motore. Il 990 cc ora ha l&rsquo;albero motore Crossplane (genera una coppia lineare costante che viene erogata in modo continuo a qualunque numero di giri), le valvole per cilindro sono 4 e gli scoppi sono irregolari (Big Bang). Il binomio Rossi-M1 nel 2004 centra la vittoria al debutto a Welkom contro Biaggi, chiudendo poi con il titolo in Australia davanti a Gibernau. Nel 2005 arriva un motore nuovo: pi&ugrave; compatto, con corsa accorciata ed alesaggio aumentato, alberi a camme pilotati da ingranaggi al posto della catena e aspirazione pi&ugrave; efficiente. Valentino bissa il titolo ottenuto l'anno prima, arrivando secondo in Malesia tra le due Ducati ufficiali di Capirossi e Checa.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 2006: arriva l&rsquo;acceleratore elettronico fly-by-wire  Sull&rsquo;onda dell&rsquo;entusiasmo per i due titoli consecutivi del 2004 e 2005, in Yamaha mettono mano ancora alla M1 per continuare a mietere successi. La versione del 2006 viene dotata di acceleratore elettronico fly-by-wire, wheelie e launch control. Il motore &egrave; diventato pi&ugrave; potente mentre il telaio pi&ugrave; rigido. Tutto molto bello, peccato che i piloti soffrissero di chattering all&rsquo;anteriore, oltre al fatto che la nuova M1 mal digeriva le nuove Michelin. Rossi ci mette come sempre del suo ma non basta, alla fine chiude secondo alle spalle di Hayden campione.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 2007-211: l&rsquo;era 800 e gli aggiornamenti  Il 2007 si apre con il cambio regolamentare che porta la cilindrata delle moto da 990 cc a 800 cc. L&rsquo;M1 del 2007 ha un motore pi&ugrave; leggero (-3,5 kg) e compatto rispetto al 2006, aggiornato pi&ugrave; volte nel corso della stagione per trovare pi&ugrave; potenza e contrastare l&rsquo;esuberante Ducati Desmosedici GP7 con Casey Stoner. Seppur con un motore pi&ugrave; potente, la M1 2007 non perde i suoi punti di forza che sono la maneggevolezza e la velocit&agrave; di percorrenza delle curve. Nel 2008 Yamaha mette mano ancora al motore della M1 introducendo le valvole pneumatiche che contribuiscono ad aumentarne potenza e coppia riducendone il peso. Vengono rivisti anche il telaio, la carena e la distribuzione dei pesi. Per il 2009, invece, arrivano solo piccoli aggiornamenti a motore, telaio ed elettronica. La moto del 2010 riceve solo aggiornamenti minori rispetto al 2009 ma l&rsquo;introduzione nel regolamento di soli 6 motori utilizzabili in stagione porta i motoristi di Iwata a lavorare sull&rsquo;affidabilit&agrave;. L&rsquo;M1 2011, ultima con il motore 800, segue la stessa filosofia della 2010. Yamaha dal 2008 al 2011 centra tre titoli iridati, due con Rossi nel 2008-2009 e quello di Lorenzo nel 2010, mentre nel 2011 il maiorchino &egrave; secondo, staccato di 90 punti, alle spalle di un imprendibile Casey Stoner con la Honda.  2012-2015: il ritorno ai 1000, il cambio seamless e le winglets  Cinque anni dopo il cambio regolamentare che ha portato le moto a 800 cc di cilindrata, per il 2012 i motori delle moto ritornano a quelli pre cambio, ovvero 1000 cc. La M1 del 2012 si presenta con un nuovo telaio deltabox con geometrie regolabili ed uno scarico pi&ugrave; corto, 240 cv ed un peso di 157 kg a secco. Non cambia, invece, la moto del 2013: 160 kg a secco e solamente 5 motori utilizzabili durante la stagione. Migliorano le prestazioni e l&rsquo;affidabilit&agrave;. Per il 2014 Yamaha adegua la sua M1 al nuovo regolamento che impone centralina unica e 20 litri di serbatoio. L&rsquo;unica novit&agrave; di rilievo &egrave; l&rsquo;introduzione del cambio seamless, che porta ad avere un passaggio pi&ugrave; fluido da una marcia all&rsquo;altra e minimizza i tempi di cambiata. Nel 2015 il peso minimo torna a 158 kg, la moto riceve un nuovo cambio e le winglets (alette) aerodinamiche.&nbsp; In questi anni Yamaha coglie ancora due titoli iridati, entrambi con Jorge Lorenzo: nel 2012 davanti a Pedrosa e nel 2015 davanti al compagno di squadra Valentino Rossi (con tutte le polemiche del caso per il finale di stagione). Lorenzo e Rossi chiudono al secondo posto rispettivamente nel 2013 e nel 2014, entrambe le volte alle spalle di Marquez.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 2016-2019: software unico e solo lavoro aerodinamico  Il 2016 porta diverse novit&agrave; a livello regolamentare: vengono introdotti il software unico ed il monogomma Michelin, il peso minimo scende a 157 kg mentre sale a 22 litri la capacit&agrave; del serbatoio. Viene ulteriormente affinato il pacchetto aerodinamico della M1 per tenere testa ad Honda e Ducati ma non basta. Il copione degli anni successivi &egrave; sempre lo stesso, solo aggiornamenti al pacchetto aerodinamico, la moto rimane la stessa a livello di maneggevolezza e velocit&agrave; di percorrenza ma viene a mancare la competitivit&agrave; contro Honda e Ducati.&nbsp; In questi anni Yamaha inizia ad andare progressivamente indietro in classifica sia nel Mondiale Piloti che in quello Costruttori: nel 2016 Rossi chiude secondo alle spalle di Marquez, nel 2017 Vinales &egrave; terzo, Rossi e Vinales sono terzo e quarto nel 2018, e nel 2019 Vinales &egrave; di nuovo terzo a fine stagione con il rookie Quartararo in quinta posizione.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 2020-2024: dal Covid ad una piccola ripresa  Nel 2020 il panorama mondiale &egrave; scosso dall&rsquo;emergenza del Covid-19, anche il Motomondiale ne risente, con le case che non portano nuove moto ma solo affinamenti del modello dell&rsquo;anno prima. La nuova M1 si presenta con l&rsquo;holeshot posteriore per una partenza a fionda al semaforo. Con il congelamento parziale dello sviluppo imposto dal nuovo regolamento, la M1 del 2021 &egrave; una M1 2020 &ldquo;B&rdquo;; mentre nel 2022 Yamaha regge solo la prima met&agrave; di stagione salvo poi arrendersi al ritorno prepotente di Ducati che centra il titolo con Bagnaia. L&rsquo;unica novit&agrave; della Yamaha M1 in versione 2023 &egrave; la livrea mimetica, con la quale da Iwata speravano di essere pi&ugrave; aggressivi. La realt&agrave; per&ograve; &egrave; stata dura da digerire: una stagione ai livelli del 2003 con zero vittorie all&rsquo;attivo. Per il 2024 Yamaha mette mano nuovamente alla sua M1 grazie anche alle concessioni ed alla possibilit&agrave; di fare pi&ugrave; test durante la stagione per recuperare il ritardo da Ducati, Aprilia e KTM. La moto viene rivista nelle forme e nel pacchetto aerodinamico, nei test dell&rsquo;anno scorso &egrave; stato provato un nuovo motore pi&ugrave; potente che &egrave; stato riproposto nei test iniziali del 2024 ma non ha dato i riscontri sperati. Da Misano in poi Quartararo ha fatto vedere qualche segnale di riscossa rispetto al 2023 ma non &egrave; sufficiente, serve tanto lavoro ancora per arrivare almeno a giocarsi il podio.&nbsp; A livello sportivo, negli ultimi anni Yamaha ha sfiorato il titolo 2020 con Morbidelli (team Petronas) secondo alle spalle di Mir per 13 punti, nel 2021 invece &egrave; stato Quartararo a portare ad Iwata l'ultimo titolo iridato della sua storia.  Il V4 nel futuro?  La formula per tornare ad essere competitivi &egrave; adeguarsi alla concorrenza. Yamaha, ad oggi, &egrave; rimasta l&rsquo;unica moto in griglia ad avere il 4 cilindri in linea contro il V4 montato da Ducati, Honda, KTM ed Aprilia. Indi per cui ad Iwata con l&rsquo;aiuto di Luca Marmorini stanno lavorando al motore che equipagger&agrave; la prossima M1, ovvero un V4. Si vocifera della volont&agrave; di Yamaha di anticipare i tempi ed il cambio regolamentare del 2027 ed entrare gi&agrave; nel 2026 con il suo V4 per immagazzinare gi&agrave; dati utili in vista proprio del 2027.       

Dalla poca competitivit&agrave; del biennio 2002-2003 ad essere la moto pi&ugrave; ambita della griglia per poi ripiombare nel baratro delle difficolt&agrave;, con vista sul futuro

Dal motore a carburatori al futuro V4: com’è cambiata la Yamaha?

        Un tester d&rsquo;eccezione per la Kramer APX-350 con cui i giovani talenti americani proveranno a guadagnarsi un posto nel motomondiale, John Kocinski ha infatti portato a battesimo la moto con cui si disputer&agrave; la MotoAmerica Talent Cup 2025. MotoAmerica Talent Cup: la strada per la MotoGP a stelle e strisce Kocinski tester per Kramer Procede spedito il lavoro della casa tedesca per preparare al meglio le moto con cui a partire dal 2025 i piloti dai 14 ai 21 anni si sfideranno nella MotoAmerica Talent Cup, serie &ldquo;Road to MotoGP&rdquo; di Dorna per selezionare i nuovi talenti a stelle e strisce in modo da renderli pronti al passaggio al JuniorGP e poi al mondiale Moto3. In questi giorni a provare la Kramer APX-350, moto progettata da zero partendo dalla base del monocilindrico 350cc di KTM da circa 50 cavalli, un pilota che di &ldquo;dueemezzo&rdquo; se ne intende: John Kocinski. L&rsquo;americano iridato nella quarto di litro nel 1990 a 56 anni ha rimesso casco e tuta ed ha provato la Kramer in pista. Kocinski che &egrave; stato campione del mondo sia in 250 che in SBK, ha provato la nuova Kramer affiancando Finn Chapman tester della moto che aveva percorso i suoi primi km ufficiali al COTA nel corso del penultimo round del MotoAmerica.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da MotoAmerica (@motoamerica)            

A 56 anni l&rsquo;americano campione del mondo 250 e SBK ha rimesso casco e tuta provando la futura moto della Talent Cup a stelle e strisce

MotoAmerica, John Kocinski torna in moto con la Kramer APX-350

        Da uno sponsor petrolifero ad uno che fa lubrificanti per il team ufficiale Honda HRC. Con l&rsquo;uscita di scena di Repsol a fine stagione dopo 30 anni di collaborazione, la compagine guidata da Alberto Puig ha preso accordi con l&rsquo;attuale main sponsor del team LCR lato Zarco, ovvero Castrol.&nbsp; Cambio di sponsor dunque per il team ufficiale Honda dopo gli innesti preziosi di Romano Albesiano nel ruolo di Direttore Tecnico e di Aleix Espargar&ograve; come tester ufficiale, entrambi in arrivo da Aprilia. HRC-Castrol, un deja v&ugrave; che sa tanto di Superbike   Operazione nostalgia, dunque, per il team ufficiale HRC ed un chiaro rimando agli anni di Castrol sulle carene delle Honda RC del Mondiale Superbike portate in pista dalla struttura di Neil Tuxworth, con in sella piloti iconici come Aaron Slight, John Kocinski, Carl Fogarty e Colin Edwards.&nbsp; Castrol e Honda nel Mondiale delle derivate si sono portati a casa ben tre titoli piloti: 1997 con John Kocinski, 2000 e 2002 con Colin Edwards e la VTR1000SP2 bicilindrica. Due team con lo stesso sponsor?  Salvo imprevisti (che significano una richiesta di cambio sponsor), nel 2025 ci saranno in pista ben tre RCV213 con lo stesso main sponsor ovvero le due ufficiali di Mir e Marini e quella LCR di Zarco che saranno in livrea Castrol. Una situazione abbastanza surreale, un caso simile a quello di quest&rsquo;anno dei team KTM ufficiale e Tech3 GasGas con lo stesso sponsor RedBull.       

Dal 2025 sulle carene delle RCV ufficiali di Mir e Marini comparir&agrave; lo sponsor attualmente sulla moto del team satellite LCR

MotoGP: il post Repsol di HRC si chiama Castrol

        Gli occhi di Carl Fogarty, sgranati, posseduti. La capacit&agrave; di fulminare con lo sguardo, la trasparenza di un uomo disposto a tutto, finestra sull&rsquo;abisso di un pilota feroce, pronto a mordere, istintivo, spietato, mai diplomatico. Parole come candelotti di dinamite, quelle del britannico classe 1965: non aveva freni di fronte ai microfoni. Il discorso andava sempre nella stessa direzione, sminuire gli avversari e aumentare la propria statura. Quella di una figura che 30 anni fa metteva le mani sul primo di quattro titoli iridati in Superbike, tutti in rosso, sulle Ducati. Risultati capaci di elevarlo a simbolo di un campionato che assieme a lui ha vissuto una delle sue parentesi pi&ugrave; avvincenti e convincenti, dove le scintille espresse in pista hanno innescato dialoghi di fuoco, litigi, polemiche e anche di pi&ugrave;. Come al parco chiuso di Assen nel 1998, quando il compagno di colori Pierfrancesco Chili, furioso, secondo alcune cronache avrebbe mollato all&rsquo;inglese un colpo sul casco prima di prenderlo a male parole. Fogarty nella zuffa &egrave; sempre apparso a suo agio, mai un passo indietro. Difendeva con i denti una posizione esclusiva e sofferta, quella di numero 1 delle derivate di serie, in uno sport che l&rsquo;aveva costretto a scalare gradini alti e insidiosi: a 20 anni lo status di promessa, poi un paio di infortuni che avevano messo tutto in discussione, costringendolo a rialzarsi sulle proprie gambe, mettere mano al portafogli e dimostrare quanto valeva con una moto che pi&ugrave; privata non si poteva. In fondo a quell&rsquo;abisso, nelle profondit&agrave; di un ragazzo che puntava in alto, grinta e ostinazione hanno alimentato la luce della consapevolezza fino alla consacrazione. Perch&eacute; ai suoi occhi rapiti, capaci di trasmettere qualcosa di simile a ci&ograve; che Stanley Kubrick ha estratto da Jack Nicholson in &ldquo;Shining&rdquo;, il successo &egrave; sembrato possibile anche quando il buio era totale. Da qui la sicurezza che l&rsquo;ha fatto sentire in diritto di esprimersi come voleva. Anche a costo di provocare qualche smorfia. E parecchie repliche.  Passa alla prossima pagina La newsletter di Motosprint &nbsp; Intervista a Carl Fogarty  Eri, e rimani, amatissimo: come te lo spieghi? &ldquo;Forse le persone rivedevano in me alcuni aspetti di loro. In fondo ero un ragazzo qualunque venuto da Blackburn, in Inghilterra, che non aveva paura di dire cosa pensava. Un uomo di famiglia, con moglie e figli, che della popolarit&agrave; se ne fregava. Io volevo correre e vincere, punto. Il resto non mi interessava&rdquo;. Il tuo stile, decisamente aggressivo, pu&ograve; aver contribuito? &ldquo;Per essere il numero 1, serviva anche quello. Non saprei dire se era una cosa che avevo dentro da sempre, penso sia emersa durante il mio percorso. Si impara sempre, in fin dei conti. Si migliora: non soltanto come piloti, ma anche come persone&rdquo;. Le due cose vanno insieme? &ldquo;Da uomo, devi imparare a essere onesto con te stesso e consapevole delle conseguenze che proietti su chi ti sta attorno. Quando fai questo mestiere, a volte puoi non essere di buon umore e ci&ograve; si riflette sulle persone che ami&rdquo;. Eri intrattabile, quando perdevi? &ldquo;Diciamo che non sapevo lasciarmi alle spalle un cattivo risultato. Il tormento mi accompagnava a casa e fino alla gara successiva, quando avrei avuto l&rsquo;opportunit&agrave; di rifarmi. In quei giorni non era facile avere a che fare con me: parlavo poco, e quando lo facevo ero brusco. Rimuginavo. Mia moglie Michaela &egrave; sempre stata al mio fianco: lo sapeva, che il mio era uno sport da egoisti. &Egrave; stata una figura importante: avere qualcuno con cui condividere i momenti belli, ma soprattutto brutti, non va sottovalutato. Mi ha ascoltato e dato conforto, Con lei potevo esprimere liberamente la mia frustrazione&rdquo;. Sei sempre stato &ldquo;in fissa&rdquo; con la vittoria? &ldquo;Da ragazzino, a 12 anni, se a scuola giocavamo a calcio e perdevamo, per me era un dramma. Ai miei compagni sembrava importare poco e il loro atteggiamento mi infastidiva: mi ha fatto anche capire che gli sport di squadra non facevano per me. Avrei dovuto fare troppo affidamento sugli altri&hellip;&rdquo;. Le tue sparate contro gli avversari, da pilota, come le spieghi? &ldquo;Ero fatto cos&igrave;. Quando mi sentivo minacciato da qualcuno dicevo qualcosa per metterlo sul &lsquo;chi va l&agrave;&rsquo;, oppure per umiliarlo. Il vero obiettivo, per&ograve;, era mettere pressione a me stesso, perch&eacute; a quel punto non potevo pi&ugrave; tirarmi indietro. A me non piaceva, quando si parlava bene di qualcun altro: pensavo di doverci essere io, al centro dell&rsquo;attenzione. Cos&igrave;, prima delle gare, ero sempre l&igrave; ad &lsquo;azzuffarmi&rsquo; con Colin Edwards, Scott Russell, Aaron Slight o John Kocinski&rdquo;. A gran parte del pubblico sembrava piacere, questo show. &ldquo;Io non lo vivevo come un gioco. Non ero l&igrave; per farmi degli amici. Non ero un tipo Solare e nemmeno timido, oppure tranquillo o facile. Li detestavo veramente, i miei avversari&rdquo;. Sei mai finito nei guai a causa di una dichiarazione? &nbsp;&ldquo;Nessuno, team o sponsor, ha mai messo un paletto a ci&ograve; che potevo dire. Che sia chiaro: anche gli altri piloti erano aggressivi quando parlavano di me. Avevamo personalit&agrave; forti&rdquo;. Ti sei mai pentito di una cosa detta? &ldquo;Forse in alcuni casi ho esagerato. Per esempio, quando ho chiamato i miei due maialini Scott e Aaron (come Russell e Slight, nde). Vivevano nella mia piccola fattoria inglese, insieme ad anatre, cavalli, cani e altri animali. In ogni caso, sulla stampa non &egrave; che insultassi gli altri: ero piuttosto uno spaccone, spavaldo. Tipo: la prossima la vincer&ograve; io, lui non pu&ograve; battermi, non &egrave; forte come me!&rdquo;. Passa alla prossima pagina &nbsp; Carl Fogarty e le sue moto  Qual &egrave; la migliore moto che hai guidato? &ldquo;La seconda versione della Ducati 916, nel 1995. Rispetto alla precedente mi permetteva di essere pi&ugrave; dolce e, di conseguenza, regolare&rdquo;. A livello tecnico, cos&rsquo;era cambiato rispetto al 1994? &ldquo;Piccole cose. La posizione di guida, con i manubri un po&rsquo; pi&ugrave; alti, per mettermi maggiormente a mio agio. Il forcellone era un pelo pi&ugrave; lungo e la moto, davanti, pi&ugrave; alta. Il motore, inoltre, aveva pi&ugrave; spinta&rdquo;. Ricordi una gara in particolare in sella alla 916? &ldquo;Brands Hatch, dove non avevo mai vinto prima del 1995, in nessuna categoria. Quell&rsquo;appuntamento coincise con il ritorno delle grandi folle in Inghilterra, come non si vedeva dai tempi di Barry Sheene, a decine di migliaia. Mi sentii tutt&rsquo;uno con la moto dal primo turno di prove. Ogni curva, ogni marcia inserita o tolta: era tutto perfetto, sotto controllo&rdquo;. Un feeling irripetibile? &ldquo;S&igrave;, perch&eacute; nella gara successiva le sensazioni erano gi&agrave; leggermente diverse. Magari un problemino al telaio, oppure alla gomma posteriore. E guidare diventava una battaglia. Se la moto non teneva una determinata traiettoria dovevo forzare con il fisico, cambiare stile, essere pi&ugrave; aggressivo&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Carl Fogarty: i rivali, le vittorie  Se ti dico &ldquo;accappatoio blu&rdquo;, cosa ti viene in mente? &ldquo;Assen 1998, l&rsquo;episodio con Chili. Eravamo compagni di marca, entrambi in lizza per il Mondiale. Pensavo che lui avesse un motore pi&ugrave; veloce del mio: riflettendoci adesso, forse, era una fantasia, ma l&igrave; per l&igrave; ne ero convintissimo. All&rsquo;ultimo giro di Gara 1 mi aveva superato sul dritto e aveva vinto. In Gara 2 provai a evitare che passasse, ma ci riusc&igrave; lo stesso. All&rsquo;ultima chicane mi infilai all&rsquo;interno senza problemi e vinsi. Pensavo che Chili fosse secondo, invece era caduto&rdquo;. Al tuo arrivo al parco chiuso, resoconti alla mano, Chili ti avrebbe mollato una botta sul casco. Rincarando poi la dose in conferenza stampa, dove si present&ograve; in accappatoio: voleva che la Ducati ti impedisse di correre l&rsquo;ultimo round della stagione. &ldquo;Penso si stesse lamentando per come avevo guidato sul dritto all&rsquo;ultimo giro. Ma non era nemmeno contento del suo errore. Aveva buttato la possibilit&agrave; di vincere il titolo&rdquo;. Alla fine, quel Mondiale 1998 l&rsquo;hai vinto tu. &ldquo;Fui fortunato. Non stavo guidando affatto bene, in quella stagione. Non ci mettevo il cuore, e nemmeno la testa. Durante le prove, per esempio, non lavoravo nel modo migliore per scegliere la gomma posteriore giusta e preparare la moto. Poi ci furono alcune gare sul bagnato in cui andai male. Avevo pure un problemino a un ginocchio e una noia alla schiena, ma erano scuse. Ero distratto, pensavo addirittura di ritirarmi. Non so di preciso perch&eacute;, ma mi ero stufato&rdquo;. Come fu il ritorno in carreggiata? &ldquo;Le cose cambiarono dopo un discorsetto di Davide Tardozzi, il mio boss nel box Ducati. Eravamo a Laguna Seca, quintultimo round del campionato. Mi disse chiaro e tondo che dovevo smettere di fargli perdere tempo. Di piantarla con le scuse e prendermi quel Mondiale. Ne avevo le capacit&agrave; e il carattere, dipendeva da me. Altrimenti, sarebbe stato meglio smettere. Quelle parole furono uno shock: nessuno mi aveva mai parlato cos&igrave;. Era proprio quello che mi serviva. Nei successivi quattro appuntamenti andai fortissimo e vinsi il mio terzo titolo. Ero tornato in forma, entusiasta, determinato. Sfruttai quello slancio anche nel 1999, facendo il poker&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Carl Fogarty: non solo SBK  I tuoi titoli sono tutti arrivati con le Ducati: a proposito di Rosse, nel 1993 prendesti parte al GP di Donington sulla Cagiva 500, che faceva parte dello stesso gruppo del marchio emiliano. &ldquo;Nonostante il notevole salto dalle derivate di serie ai prototipi, dalle quattro alle due tempi, venerd&igrave; avevo il secondo crono. La sera pensai: chiss&agrave;, forse posso vincere? Ma ero nel caos: non riuscivo a capire cosa fare con i rapporti del cambio, se la seconda era troppo corta e la terza eccessivamente lunga, per esempio. Il piano era di occuparmene il sabato, ma caddi subito, forse per un calo di concentrazione, e buttai la prima sessione della giornata. Il team sistem&ograve; la moto in tempo per il secondo turno, ma quando scesi in pista tartagliava. Mi qualificai quinto, non male, ma senza sentirmi a posto. In gara risalii in zona podio, poi persi tempo per un problemino con la leva del freno anteriore, che dovetti registrare mentre guidavo. All&rsquo;inizio dell&rsquo;ultimo giro, con la gomma dietro finita gi&agrave; da un po&rsquo;, la moto riprese a balbettare. Uscii dal penultimo tornantino con mezzo secondo di vantaggio su Niall Mackenzie, entrai nell&rsquo;ultima curva velocissimo, per guadagnare metri. Aperto il gas, in prima marcia, la Cagiva acceler&ograve;, ma appena infilai la seconda si ammutol&igrave;. Che beffa: fui quarto a un soffio dal podio&rdquo;. Senza tutti quei problemi, cosa avresti potuto fare? &ldquo;Sfruttando le prove, con il tempo di sistemare i rapporti del cambio, prendere confidenza e scegliere la gomma posteriore giusta, forse avrei vinto&rdquo;. Con le due tempi ti eri cimentato soprattutto agli inizi. &ldquo;Da ragazzo sognavo di diventare campione del Mondo della 250. Sulle quarto di litro, nel 1986, in Inghilterra vincevo a raffica. Riuscii a partecipare come wild card al GP di Silverstone dove, sotto la pioggia, chiusi undicesimo. Visto il bel risultato, qualche giorno dopo ebbi un incontro con un team per passare al Mondiale, ma due settimane pi&ugrave; tardi caddi facendomi male a una gamba. Cos&igrave; la mia grande chance and&ograve; a farsi benedire. Persi il resto del 1986 e nel 1987 mi fratturai di nuovo&rdquo;. Poi il passaggio alle moto &ldquo;grosse&rdquo;: le cose ripresero a girare. &ldquo;Nel 1991 ero nel mondiale Superbike, ma con una Honda obsoleta. Non andai oltre il settimo posto: sapevo che le ragioni erano tecniche, ma come facevo a convincere chi mi poteva dare fiducia? Cos&igrave; per il 1992 comprai una Ducati, mettendo sul piatto con il mio sponsor i soldi necessari per salire su un mezzo con cui mostrare che potevo stare con i migliori. Lo feci vincendo Gara 2 del round inglese, da privatissimo, quell&rsquo;anno mi misi in mostra in mille modi. Nella tappa di Donington del Mondiale 500 caddi sull&rsquo;olio di un altro pilota mentre ero quinto-sesto. Al Tourist Trophy firmai il nuovo record sui 60 km del Mountain Course. Vinsi il mondiale Endurance su una Kawasaki. Fu difficile dimostrare quanto valevo, ma c&rsquo;ero riuscito. La Ducati mi ingaggi&ograve; per correre il mondiale Superbike del 1993 da ufficiale. Il resto &egrave; storia&rdquo;. Qual era il tuo punto di forza, come pilota? &ldquo;Il mio stile da 250, penso. Guadagnavo tutto in ingresso e percorrenza di curva, con grandi angoli di piega. Gli altri invece avevano una guida stop-and-go, con frenate e accelerazioni brusche, meno scorrevolezza. Certo, se li avevo davanti, superarli poteva essere difficile. Ma se avevo spazio, non ce n&rsquo;era per nessuno&rdquo;. MotoGP orari GP Austria 2024       

La nostra intervista esclusiva a Carl: "Non avevo paura di esprimere ci&ograve; che pensavo e vincevo grazie al mio stile, sia in pista che fuori"

SBK, Fogarty: "Ero amato perché la gente si rivedeva in me" | Storie Sprint

        Se si pensa in dieci secondi ai cinque pi&ugrave; grandi piloti dell&rsquo;ultimo ventennio motociclistico, difficilmente il nome di Jorge Lorenzo pu&ograve; restare escluso. Non solo per i cinque titoli conquistati, un traguardo che lo spagnolo ribadisce spesso con motivata fierezza, ma anche e soprattutto per la perfezione del suo stile di guida: quel mix tra dolcezza e precisione che lo ha reso grande stagione dopo stagione, dai titoli in 250 a quelli in MotoGP, in un periodo della classe regina dove il talento &ndash; perlomeno nelle prime posizioni &ndash; abbondava come pochi altri momenti. Oggi Jorge &ndash; ritiratosi a fine 2019 &ndash; si divide tra motori, passioni e riposo, ma non manca mai il tempo di tornare in sella. Come ad esempio durante il ProDay organizzato da VMoto, dove Jorge non solo &egrave; salito in sella ad una Yamaha R1, ma anche e soprattutto alla Cagiva C594, la 500 portata in pista nel 1994 da John Kocinski. Di questo e tanto altro, a cominciare dal futuro della MotoGP, abbiamo parlato con Jorge, che difficilmente non regala al proprio interlocutore un motivo per restare in ascolto.&nbsp;Jorge innanzitutto, come stai?&nbsp;&ldquo;Bene direi. Ho il mio podcast su Youtube, corro nel campionato italiano Gran Turismo endurance con Aston Martin ed in generale cerco di godermi la vita. Spero di continuare cos&igrave;&rdquo;.&nbsp;Hai provato la Cagiva 500 di Kocinski. Pareri?&nbsp;&ldquo;E&rsquo; stata una cosa nuova per me dato che non avevo mai guidato una 500 da Gran Premio: nel corso della mia carriera mi ci sono avvicinato solo con la 250, con la quale ho vinto due mondiali. Provare una moto cos&igrave; storica &egrave; un qualcosa di emozionante: mi ha fatto tornare all&rsquo;adolescenza, a quando avevo 15 o 16 anni e dovevo gestire questi motori a due tempi, ma sinceramente credo che la MotoGP sia un altro pianeta. La MotoGP &egrave; su Marte, la 500 sul pianeta terra&rdquo;.&nbsp;Parliamo allora di MotoGP. La sfida interna tra Pecco Bagnaia e Marc Marquez si avvicina, ed in tanti danno Marc come favorito. Che ne pensi?&nbsp;&ldquo;Bagnaia &egrave; cresciuto molto negli ultimi anni, lavorando sui propri punti deboli, ed ora &egrave; un pilota molto completo nonch&eacute; poco incline all&rsquo;errore. E&rsquo; veloce, costante e calcolatore. Marc nel 2019 era davvero superiore a tutti gli altri, ma l&rsquo;incidente di Jerez lo ha debilitato fisicamente, e mentre era impegnato a recuperare i piloti giovani sono cresciuti e maturati, a differenza sua. E&rsquo; anche una questione di et&agrave;, del resto a 32 anni non cresci come a 25. Nel complesso penso quindi che nessuno dei due vincer&agrave; facilmente, sar&agrave; un duello equilibrato&rdquo;.&nbsp;L&rsquo;aspetto psicologico sar&agrave; fondamentale?&nbsp;&ldquo;Bagnaia ha vinto due mondiali ed &egrave; sulla strada giusta per conquistare il terzo, e questo ti fa crescere tanto dal punto di vista della fiducia nei propri mezzi. Marc invece sta tornando a determinati livelli, ma la fatica che ha dovuto fare in questi anni per risalire la china potrebbe presentare il conto. Gli servir&agrave; ritrovare un certo grado di confidenza, vincendo gare e tornando a lottare per il titolo&rdquo;. Lorenzo, Ducati ed il dream team con Rossi  Tu sei entrato come grande nome nel team del campione in carica: qual &egrave; la principale difficolt&agrave;?&nbsp;&ldquo;Che va forte (sorride ndr), altrimenti non avrebbe vinto il mondiale&rdquo;.&nbsp;Questa nuova squadra &egrave; quella che pi&ugrave; si avvicina al dream team rappresentato da te e Rossi in Yamaha?&nbsp;&ldquo;Per il numero di titoli certamente, anche perch&eacute; se Ducati avesse scelto Martin il numero di titoli si sarebbe abbassato. Dal punto di vista della velocit&agrave; anche la coppia Jorge &ndash; Pecco sarebbe stata molto forte, ma &egrave; difficile dire di no a Marquez&rdquo;.&nbsp;Per tenere Marquez Ducati ha dovuto perdere Pramac e due piloti come Marco Bezzecchi e Jorge Martin. E&rsquo; un rischio calcolato o eccessivo?&nbsp;&ldquo;E&rsquo; normale che i rivali vogliano recuperare terreno ed investano tanti soldi, come nel caso di Yamaha, che ha trovato una nuova risorsa in Pramac. Ducati sta vincendo quindi non ha particolare bisogno di investire. Se ne &egrave; valsa la pena? Lo potr&agrave; dire solo il tempo&rdquo;. MotoGP orari, GP Gran Bretagna 2024: programmazione Sky e TV8       

L'INTERVISTA - Parla Jorge: "Martin - Bagnaia sarebbe stata un'altra grande coppia, ma &egrave; andata cos&igrave;. Marc nel 2019 era superiore a tutti, la fatica per tornare al top pu&ograve; presentare il conto"

MotoGP, Lorenzo: "Difficile dire no a Marquez, ma Bagnaia ora è completo"

        La data di mercoled&igrave; 17 luglio sar&agrave; molto importante per tanti appassionati di moto e del Motomondiale. Sul tracciato di Misano Adriatico si terr&agrave; infatti il VMoto ProDay 2024, un Track Day organizzato dall&rsquo;azienda VMoto di Graziano Milone quattro anni fa e che vedr&agrave; protagonisti Marco Melandri, Dario Marchetti, Marco Lucchinelli e Mattia Casadei, oltre a Jorge Lorenzo che porter&agrave; in pista una moto decisamente affascinante e storica. Lo spagnolo, infatti, scender&agrave; in pista con la Cagiva C594, la 500 della Casa della Schiranna che in quella stagione ha vinto la gara di esordio di Eastern Creek in Australia con John Kocinski e ha portato l&rsquo;americano ad altri podi oltre a chiudere al terzo posto il Mondiale. Le parole di Giovanni Castiglioni, membro di VMoto Limited  A margine di questo grande annuncio, Giovanni Castiglioni, membro della famiglia che ha portato in alto il nome della Casa varesina ha dichiarato: &ldquo;Quando Graziano Milone mi ha proposto di portare la Cagiva 500 GP al Proday ho accolto con grande entusiasmo. La Cagiva 594 &egrave; stata una moto che ci ha regalato grandi soddisfazioni, sar&agrave; bellissimo rivedere in pista una delle creature della mia famiglia in pista, guidata da un 5 volte campione del mondo. Voglio ringraziare il Proday e Vmoto per questa stupenda iniziativa.&rdquo;&nbsp; L&rsquo;evento di Misano  Come detto in precedenza, la giornata di mercoled&igrave; sar&agrave; tutta incentrata sulla Track Experience che gli appassionati possono acquistare sia per vedere Lorenzo in pista con la Cagiva C594 che anche i piloti attuali e storici del Motomondiale. Gli appassionati potranno vivere emozioni uniche e apprendere tecniche di guida avanzate direttamente dai professionisti.&nbsp;Un&rsquo;occasione unica per migliorare le proprie abilit&agrave; di guida imparando direttamente dai migliori.&nbsp; La giornata si concluder&agrave; con il&nbsp;ProDay Beach party,&nbsp;una festa &ldquo;esclusiva&rdquo; sulla spiaggia di Cattolica&nbsp;dove i pi&ugrave; fortunati potranno incontrare i VIP e condividere con loro la cena con musica dal vivo e Dj set.       

Lo spagnolo girer&agrave; a Misano con la moto utilizzata in gara in quell&rsquo;anno dall&rsquo;americano John Kocinski

VMoto ProDay 2024: Jorge Lorenzo in pista con la Cagiva C594 del 1994

        Nell&rsquo;archivio del Los Angeles Times, dal 29 aprile all&rsquo;1 maggio risultavano due articoli su &ldquo;Roberts&rdquo;, ma sugli ex giocatori di baseball Dave e Charlie. Nemmeno su USA Today e The Athletic c&rsquo;era traccia del californiano. Eppure Roberts potrebbe diventare il primo pilota a stelle e strisce a fregiarsi del titolo di campione del Mondo della Moto2. Il sogno infranto di Adam Cianciarulo | Quella (S)Volta Che Joe Roberts: i precedenti nella classe intermedia  E anche considerando la 250 sono soltanto due gli statunitensi iridati: John Kocinski nel 1990 e Freddie Spencer nel 1985, anno in cui realizz&ograve; l&rsquo;irripetibile accoppiata con la 500. In 250 l&rsquo;ultimo statunitense a prendere punti fu la meteora Steve Bonsey, 15&deg; nel GP Catalunya 2009 in sella all&rsquo;Aprilia del Milar&ndash;Juegos Lucky. All&rsquo;ultima stagione utile, visto che dal 2010 la classe intermedia divenne Moto2, il californiano interruppe un&rsquo;astinenza che durava dal lontano 1995. Gi&agrave;, perch&eacute; dal 1996 al 2008 nessuno statunitense conquist&ograve; un solo punto nella quarto di litro, anche a causa di partecipazioni sporadiche. Nel 1995 Kenny Roberts junior fu ottavo nel Mondiale in sella a una delle due Yamaha del team del padre: il compagno di squadra Tetsuya Harada fu vice campione mentre Roberts, alla prima stagione completa nel Mondiale, ottenne come miglior risultato il quarto posto al N&uuml;rburgring nella gara dominata da Max Biaggi. Nel 1994 lo stesso Roberts fu 18&deg; in campionato ma prese parte soltanto agli ultimi quattro round. L&rsquo;anno prima conquist&ograve; sei punti al debutto nel Mondiale, a Laguna Seca come wild card. Ottanta punti, invece, per Kocinski con la Suzuki sempre nel 1993, ma dopo il terzo posto di Assen fu licenziato: infuriato per il deficit di cavalli della sua RGV250, nel giro di rientro mand&ograve; fuori giri il propulsore. Cos&igrave; sostenne l&rsquo;accusa, mentre John neg&ograve; di averlo fatto volontariamente. Di opinione opposta era l&rsquo;allora capo del team, Herve Poncharal, con cui gli screzi erano all&rsquo;ordine del giorno: ai tempi non c&rsquo;era l&rsquo;elettronica che potesse confermare una delle due tesi (e che invece inchiod&ograve; Maverick Vi&ntilde;ales al Red Bull Ring nel 2021, quando venne appiedato dalla Yamaha) quindi Kocinski si trov&ograve; senza moto, anche se quella fu la sua fortuna: a Brno fu ingaggiato dalla Cagiva, con cui disput&ograve; 17 GP in 500 vincendone due e chiudendo l&rsquo;annata 1994 in terza posizione. Nel 1992 invece nessun americano corse in 250. L&rsquo;anno prima Jim Filice, che nel 1988 aveva debuttato a Laguna Seca facendo clamorosamente saltare il banco, disput&ograve; tre GP con la Honda del Team Gallina, senza punti. Scontava ancora i postumi di un terribile incidente: il van su cui era sdraiato, guidato dall&rsquo;amico John Ashmead, si schiant&ograve; contro un semirimorchio. Filice fu sottoposto a due interventi per complessive tredici ore e rest&ograve; cinque mesi a letto. Oltre a vincere il titolo nel 1990, Kocinski fu capoclassifica pure a inizio 1989. Lui, Spencer nel citato 1985 e Roberts padre a inizio 1978 erano stati i soli USA in testa al Mondiale della classe intermedia. Joe Roberts &egrave; in ristretta ma decisamente buona compagnia.  La nuova vita di Ben Spies | Quella (S)Volta Che       

Pu&ograve; diventare il primo americano campione della Moto2, superando il difficile rapporto tra yankees e classe intermedia. A eccezione di Spencer e Kocinski

Moto2, Joe Roberts può riscrivere la storia

Lo aveva detto anche venerd&igrave;, quasi a preannunciare l&#39;ottimo weekend che lo avrebbe visto protagonista: pole position con record della pista, Sprint in dominio, warm up a promettere il bis, bis centrato nel Gran Premio. Si poteva chiedere di pi&ugrave; a Maverick Vinales, protagonista del weekend perfetto al Circuit of The Americas? Non crediamo.&nbsp;  MotoGP Austin: i voti dei migliori&nbsp;  Maverick Vinales, 10 PIPISTRELLO  I&nbsp;pipistrelli&nbsp;hanno&nbsp;caratteristiche&nbsp;singolari: sono gli unici mammiferi che sanno volare e grazie a un sofisticato sistema &ldquo;radar&rdquo; a ultrasuoni riescono a &ldquo;vedere&rdquo; anche nell&#39;oscurit&agrave;. Se Maverick &egrave; Batman, dovrebbe saperlo.  Pedro Acosta, 9 FRATELLO  Vederlo a fianco di John Kocinski, sembrava suo fratello e, in effetti, somiglianze con l&rsquo;americano ne ha: non troppo alto, veramente talentuoso, rookie capace di far disperare gli avversari pi&ugrave; esperti  Enea Bastianini, 8 REATTIVO  Volto grigio dopo la Sprint, viso radioso a Gran Premio finito. Bravo Enea, secondo in classifica, senza lamentele n&eacute; pretese. Fossimo in Ducati, ci penseremmo: ha senso l&rsquo;eventuale sua partenza?    Leggi anche: GP delle Americhe, Vinales entra nella Storia vincendo con Tre case in MotoGP  I bocciati del Gran Premio di Austin  Pecco Bagnaia, 4.5 ALLARME ROSSO  Al netto delle cadute, peggior weekend da quando &egrave; ufficiale Ducati, tra &ldquo;sfiorata perfezione&rdquo; sino a venerd&igrave;, gomma sbagliata sabato, sorpassi subiti domenica. L&rsquo;unico confermato da Borgo Panigale &egrave; quinto, l&rsquo;allarme Rosso deve suonare.  Leggi anche: Bagnaia, &quot;Ora devo difendermi in attesa di attaccare, come nel 2022&quot;  Aleix Espargar&ograve;, 6.5 SECONDA FASCIA  La fascia di Capitano nessuno gliela toglie, ma in America il catalano ha rappresentato la seconda Aprilia. Dichiarare &ldquo;Sto pensando a un futuro da test rider&rdquo;, significa che ha gi&agrave; deciso di ritirarsi?  Joan Mir, 3 RECORDMAN  Tra pessimo 2022 con Suzuki e recente biennio in Honda, il maiorchino ha segnato un record indelebile di cadute. Difficile trovare di peggio, malgrado wikipedia possa essere d&rsquo;aiuto. Peccato che l&rsquo;enciclopedia digitale non aiuti la RC213 V.  &nbsp; 

Austin perfetta per Vinales e Aprilia, storici e dominatori, Acosta fenomeno della serie, Martin mantiene la leadership, mezzo disastro per Bagnaia

Pagelle MotoGP Austin 2024: Vinales entra nella Storia, tutti i voti di Motosprint

        E&rsquo; passato poco pi&ugrave; di un mese dalla scomparsa di Anthony Gobert, e giustamente il ricordo &egrave; pi&ugrave; vivo che mai. Soprattutto nella sua Australia, dove nel 1996 scrisse una delle pagine pi&ugrave; belle della sua carriera motociclistica, regolando Aron Slight in un bellissimo duello per la vittoria, andata appunto a TheGOShow. Successi storici e non solo per Gobert  Quel giorno Gobert guidava l&rsquo;iconica Kawasaki 750 numero 4, una delle moto che proprio in questi giorni sono state esposte all&rsquo;interno del circuito di Phillip Island per ricordarlo. Del resto l&rsquo;australiano ha scritto &ndash; seppure senza mai riuscire ad affermarsi appieno &ndash; a regalare momenti indimenticabili agli appassionati delle derivate.&nbsp;I successi in casa, sia con Kawasaki che &ndash; sul bagnato &ndash; in sella alla Bimota, fino ai suoi sorpassi incredibili, come quello all&rsquo;esterno al curvone di Misano su John Kocinski. Un talento che purtroppo non &egrave; riuscito mai a sbocciare definitivamente, ma che verr&agrave; ricordato da tutti gli appassionati delle due ruote per tanto tempo. SBK Australia, Rea: "Potrebbero essere le gare pi&ugrave; difficili della mia carriera"       

Il round SBK &egrave; l'occasione per ricordare Anthony, che proprio in casa ha firmato nel 1996 una delle sue vittorie pi&ugrave; celebri, in sella alla Kawasaki esposta in questi giorni

Phillip Island non dimentica Gobert: esposte le sue moto più iconiche

        Ah, il sorpasso, gesto sublime dello sport che, applicato alle due ruote, &egrave; addirittura da considerarsi forma d'arte. Superare l'avversario - o gli avversari - non &egrave; affatto semplice a bordo di una motocicletta, perch&eacute; bisogna sommare la volont&agrave; dell'attaccato di resistere all'attaccante, oltre al limite di moto, gomme e pista. Uscire dai confini e ritrovarsi nelle vie di fuga &egrave; atto da evitare e, nell'elenco ivi proposto, si tiene conto del puro talento citano, indipendentemente dai titoli vinti o non vinti. Esempi di fuga solitaria quali Giacomo Agostini e Freddie Spencer, tralasciati, spiegano il senso dell'articolo. Calendario MotoGP 2024 Phil Read, il "cattivo" britannico Veniva ricorcado con epiteti e soprannomi poco lusinghieri, tuttavia - dicono - calzanti al personaggio. Phil Read passava da "filo di ferro" a "figlio di buona donna", proprio perch&eacute; quando decideva di entrare, se ne infischiava di eventuali contatti e carenate. Anzi, a dispetto del pericolo, l'inglese provava addirittura compiacimento nel sentire carene e corpi altrui picchiare contro la propria moto o, perch&eacute; no, ginocchia e braccia. Con la Yamaha il nativo del Bedfordshire faceva un po' paura, ma con la MV Agusta incuteva reale timore. Ecco il motivo per cui chi lo ha conosciuto, lo ricorda previo grosso rispetto.  Loris Capirossi, tutto o niente Puro "racer", Loris Capirossi faceva del coraggio una delle sue principali qualit&agrave;. Espressosi ad alto livello immediatamente in 125, competitivo in 250, in crescita nella 500, poi tornato in dueemmezzo, ancora nella mezzo litro, infine in MotoGP. Due o quattro tempi? No problem per&nbsp; Capirex, originario a mezzo passo da Imola, circuito dove si impara davvero a superare il nemico, ops, l'avversario. Il numero 65, iconico, ha messo in pista un cuore enorme, al pari di attributi cos&igrave;. Andando anche incontro a episodi come il contatto condiviso con Tetsuya Harada in Argentina nel 1998, uscendone con alloro di classe e ragioni del caso.  Valentino Rossi, l'attimo fuggente Da dove cominciamo con Valentino Rossi?! Jerez 2005 MotoGP, tamponamento sferrato a Sete Gibernau all'ultima curva a precedere la bandiera a scacchi?! S&igrave;, episodio rimasto in cima alle visualizzazioni per anni. Vi &egrave; piaciuto l'ingresso&nbsp; - con divagazione nella via di fuga, &egrave; giusto ricordarlo - di Laguna Seca 2008 ai danni di Casey Stoner?! Fantastico. Per&ograve;, vista da qui, in quanto a pulizia e correttezza della manovra, nulla supera (gi&agrave;) Barcellona 2009. Tornata finale del Gran Premio di Catalunya, pochi metri da completare e traguardo in vista, piega destrorsa e veloce fino al "zac", fendente improvviso, che ha lasciato il maiorchino di sale e battuto. Uno dei sorpassi pi&ugrave; belli di sempre.  Marc Marquez, il "menefreghista" Malgrado critiche, insulti e quant'altro, Marc Marquez &egrave; rimasto e rimarr&agrave;, pensiamo, s&eacute; stesso. Che vuol dire? Vuol dire che non gliene cale granch&eacute; di aver "imitato" Valentino Rossi a Jerez, ancora su Jorge Lorenzo nel tornante dedicatogli, lo stesso dove Sete Gibernau pat&igrave; il colpo.&nbsp; Chissene se anche a Laguna Seca ha fatto come il numero 46, prpprio sul numero 46. MM93 piace cos&igrave; com'&egrave;, temerario e costantemente al cento per cento. Altrimenti, non sarebbe l'asso che conosciamo. A proposito di sorpassi, micidiale le imprese in Moto2 di Phillip Island 2011, dalla casella 38 al terzo gradino del podio, Giappone 2012, da ventinovesimo a primo, Valencia dello stesso anno, dalla trentatreesima posizione alla vittoria.  John Surteess, 2 o 4 ruote? No problem Questo era bravo davvero, poich&eacute; capace di farsi largo e vincere sia nel Motomondiale che in Formula 1. Sir John Surteess, Signore &amp; Signori, vero gentleman fuori dai cordoli e tremendo tra i cordoli stessi, per sorpassi compiuti con due o quatto ruote, a prescidere. Riprendere le misure tra una tipologia di veicolo e l'altra &egrave; cosa per pochi, lui ci &egrave; riuscito bene. Il pilota britannico &egrave; inserito tra i migliori di sempre, certo in virt&ugrave; dei risultati ottenuti, al pari delle capacit&agrave; di adattamento da mezzi meccanici assai differenti e comunque condotti al limite.  Kevin Schwantz, il visionario texano Potrebbe bastare l'entrata su Wayne Rainey, e il paragrafo su Kevin Schwantz sarebbe bell'e completo. Invece no, anche se quella classe 500 edizione 1991 e l'ingresso al Motodrom di Hockenheim restino - probabilmente - la quintessenza della guida esibita dal texano, che a volte immaginava di andare lungo, per poi frenare all'ultimo istante e oltre. Staccata a una mano destra, piede del medesimo asse a pestare il posteriore, avantreno infossato, retrotreno balzellante a destra e manca. Teoricamente, una dinamice del genere si conclude con un lungo, oppure, con una curva affrontata a bassa velocit&agrave;. Macch&eacute;, la Suzuki numero 34 tenne dietro la Yamaha campione del mondo, annichilendola al traguardo.  Michael Doohan, l'essenziale Preferiva inscenare la fuga ma, quando era necessario, sapeva superare deciso. Michael Doohan ha compiuto pochi sorpassi in carriera, perch&eacute; nelle stagioni valevoli di iride, costruiva praticamente sempre le vittorie partendo in pole e concludendo in testa. Ma parliamo di un australiano che sapeva sorpassare, altroch&eacute;. Per&ograve;, preferiva pensarci una volta, poi mai pi&ugrave;. Per lui duellare e scambiare posizioni reciprocamente, si trattava di tempo perso. A meno che non si trovasse in compagnia di John Kocinski, Wayne Rainey, Kevin Schwantz e Alex Criville. B&egrave;, no: lo spagnolo viene ricordato meno volentieri: ricordate Eastern Creek 1996? La Honda tir&ograve; a terra una seconda Honda, che poi era la prima. Ne giov&ograve; Loris Capirossi.  Regis Laconi, il selvaggio francese Era italo-francese, per la precisione. Regis Laconi, con origine sarde ma nato a Saint Dizi&egrave;r, sapeva sorpassare, quasi sempre con il posteriore in salto e ruota a 25 centimetri da terra. Sapete una cosa dl lui? Riusc&igrave; a vincere una gara in 500 a Valencia nel 1999 e in pi&ugrave; occasioni della differente SBK. Gli &egrave; mancato un pizzico per titolarsi, ma attenzione al dato: nel Curvone Biassono di Monza, a bordo della Ducati 999, deteneva il record di velocit&agrave; in percorrenza: qualcosa come 271 chilometri orari rilevati all'uscita, che precedeva la Variante della Roggia, affrontata comunque rapidamente.  Anthony Gobert, interno ed esterno Gli avran pur dato del "matto", ma era un manico esagerato, capace di oltrepassare limiti meccanici e della fisica. Anthony Gobert, australiano approdato in Europa e andatosene lasciando il segno, in doti di guida secondo era a nessuno. Poi, s&igrave;, esagerava, ma perch&eacute; indomito e sprovvisto di una solida strategia. Per lui il sorpasso era pi&ugrave; importante del risultato finale, che fosse compiuto all'interno o all'esterno, come se la questione fosse contro l'avversario e non in termini di classifica. E lo era. Il "Go Show" dur&ograve; poco, per&ograve; bene: se ne ricordano Aaron Slight in SBK e Darryl Beattie in 500.  Carl Fogarty, inglese in stile Tourist Trophy Dunque, lui stesso lo ha ammesso, per&ograve; anni dopi non esserci pi&ugrave; andato: il Tourist Trophy &egrave; gara bella, per&ograve; folle. Quanto &egrave; passato definitivamente ai pi&ugrave; sicuri cordoli accompagnati da vie di fuga, Carl Fogarty non si &egrave; pi&ugrave; voltato, come se alle sue spalle fosse stato creato un vuoto. E in gara gli piaceva fare cos&igrave;, bench&eacute; fosse pronto tutto pur di superare. Basterebbe chidere a Pierfrancesco Chili, oppure a Lothar Kraus, doppiato e ritrovatosi in traiettoria del Re britannico. Si trattava di Nurburgring SBK 1999, finita in successo per l'inglese, e caduta per il tedesco, buttato gi&ugrave; senza piet&agrave;, e la foto lo spiega: che cavolo ci facevi l&igrave; in mezzo?!&nbsp;  Brad Binder, l'aerodinamico I piloti giurano come sia impossibile o difficilissimo effettuare sorpassi nell'attuale MotoGP, in quanto pesantemente condizionata da elettronica, aerodinamica e gomme uguali per tutti. Sar&agrave;, ma Brad Binder interpreta la categoria "al contario", ovvero, saltando i rivali spesso e volentieri. E lo fa di traverso, azione ancor pi&ugrave; difficile, proprio perch&eacute; la volont&agrave; di telaio e alettoni sarebbe di mantene ruota anteriore e posteriore sullo stesso asse. Il sudafricano, vero talento a servizio della KTM, &egrave; uno dei protagonisti pi&ugrave; divertenti da ammirare.  Troy Bayliss, lo squarciagole Il mitico Giovanni DI Pillo lo ammise ripetutamente: "Ho urlato tanto nelle mie telecronache, ho rischiato di perdere la voce, ma Troy Bayliss mi fece esagerare, specialmente a Monza 2000. Saltar a pi&egrave; pari gente del calibro di Frankie Chili, Akira Yanagawa, Noriyuki Haga e Colin Edwards". Giusto, come &egrave; vero che l'australiano ha poi correttamente impostato le traiettorie della Prima Variante, a dimostrare la misura per mezzo della quale salt&ograve; gli avversari. Per il "carrozziere" della SBK Monza era una novit&agrave;, e un conto &egrave; sopravanzare un avversario, un conto &egrave; farne fuori quattro.         

Indipendentemente da vittorie e non, i nomi elencati detengono doti fuori dal comune nel superare i rivali

I "Sorpassatori" più feroci del Motociclismo

        Betty Curtis cantava "Soldi Soldi Soldi", brano canoro evidentemente su tematiche monetarie. Al secolo Roberta Corti, l'artista spiegava come sia il denaro a muovere tutto e meglio, umore altrettanto. Funziona cos&igrave; anche nel Motomondiale? B&egrave;, s&igrave;, perch&eacute; chi dispone di maggior budget (solitamente, seppur non sempre) arriva prima degli avvesari ai risultati sperati. Chi ha speso di pi&ugrave; dalla nascita del mondiale a oggi? Ecco una lista includente competizioni a due e quattro tempi. Attenzione tuttavia alle cifre, ovviamente sommarie e, considerando epoche diverse, inflazioni varie e valori di acquisto, non paragonabili l'una con l'altra. &nbsp; HRC: budget (a volte) illimitato tra 125, 250, 500 e MotoGP L'immagine di copertina dice quasi tutto: classe 500 edizione 1997, al comando del Gran Premio di Italia disputatosi al Mugello abbiamo ben 4 Honda NSR, tutte marcate Repsol HRC. Col numero 1 Michael Doohan affronta il Correntaio a precedere la tabella 7 di Tadayuki Okada, mentre Alex Criville col 2 e Takuma Aoki e il 24 si contendono la terza posizione. Il team di riferimento dell'Ala dorata ha tre quattro cilindri e la bicilindrica. Nessuna formazione ufficiale poteva tanto.&nbsp; Uno sforzo immenso, vincente, in parte ammortizzato dalle voci sponsor, dalle vendite delle moto alle squadre clienti e dai premi e contributi TV, ma impareggiabile dai competitor, per un concetto che nasce proprio dal reparto corse: investire a fondo illimitato, sfruttando i grossi valori di vendita a due, quattro ruote e ogni tecnologia prodotta in Giappone. Dall'ingresso diretto nel Motomondiale, Honda ha speso tanto in 125 e 250, per cifre (dicono) incalcolaboli e top secret, per&ograve; palesemente superiori alla concorrenza. I rumors giurerebbero in almeno dai 70 agli 80 milioni di euro a stagione dedicati al progetto RC213 V. Solo il periodo pandemico, un ridimensionamento generale degli introiti destinati poi alle corse risultati assolutamente scoraggianti hanno fatto stringere la cintura ai vertici di Tokio i quali, ricordiamolo, "risparmieranno" previa partenza di Marc Marquez, pilota che si faceva pagare profumatamente e, perlomeno nella MotoGP recente, pi&ugrave; di tutti.  &nbsp; Yamaha, prima rivale Honda... a soldi spesi Una sessantina di milioni l'anno, euro pi&ugrave;, euro meno, ma quando in pista scendevano almeno quattro M1 e non le sole due Monster Energy viste nel 2023. Anche Yamaha ha messo soldi nelle corse, facendo leva su vendite dei modelli stradali, uomini immagine quali Valentino Rossi, risultati, sponsor e idee azzeccate.&nbsp; Successi in duemmezzo finch&eacute; si &egrave; corsa, allori in 500, trionfi in MotoGP. Senza dimenticare il panorama "derivato di serie", in cui pure Honda &egrave; da citare: tra prototipi e SBK, immaginate quanti bonifici siano stati inoltrati, e non sempre hanno ricevuto corrispettivi di classifica a pareggiare gli investimenti. Malgrado si dica che i giapponesi partecipino alle competizioni controvoglia, precisiamo subito come non sia vero. Se vogliono uscire, lo fanno. Ricordate Suzuki nel 2022?&nbsp;Oppure Honda in Formula 1? Ebbene, i tre diapason offrono prodotti di vario genere, da pianoforti a chitarre, per un bacino enorme di introiti. S&igrave;, poi il budget per la MotoGP &egrave; diverso, ma l'azienda &egrave; sana e pronta a raddoppiare le moto in pista.&nbsp;  &nbsp; Kawasaki, pochi anni ma tanti soldi per la MotoGP Galvanizzata dal grosso ritorno di immagine goduto in SBK, "chiamata alle armi" dalle sorelle giapponesi lanciatesi verso la MotoGP, Kawasaki torn&ograve; nel mondiale in pianta stabile nel 2003, allestendo una Ninja ZX-RR ammirata per colore e scelte tecniche, criticata per gli ordini di arrivo in gara. La situazione miglior&ograve; lievemente di stagione in stagione, ma arrivare a quanto fatto da Honda, Yamaha e Suzuki risult&ograve; impossibile. E fu un peccato, perch&egrave; di soldi ce ne erano, "presi" dalle grosse opere costruttive e dagli enormi appalti detenuti dall'azienda, una Holding che realizza scavi nel mare, treni e comanda impianti siderurgici. Quindi, "il grano" era disponibile, ma il mulino male lo lavorava, stando ai quotes raccolti e alle dichiarazioni degli addetti ai lavori. Peccato alla seconda, anche in virt&ugrave; dei titoli vinti in SBK, delle affermazioni firmata da Kork Ballington in 250 e 350. Quando hanno stabilito che i prototipi della classe regina non rientravano nella filosofia del Marchio, addio e saluti a tutti. Sperando che sia un arrivederci ad aggiungersi ai 50 miloni di euro gettati ogni anno.&nbsp;  &nbsp; Sogno in rosso come i conti? Cagiva, la "romantica" della 500 Ogni volta che viene pubblicata una foto di John Kocinski in azione con la Cagiva, si sprecano commenti sulla prestanza dell'americano su quel prototipo. Come dar torto ai pi&ugrave; caldi appassionati, al cospetto di una Rossa - ebbene s&igrave;, non si offenda chi porta il medesimo colore - del genere?! Oltretutto, fateci caso, quella e le altre 500 varesine erano sprovviste di main sponsor. La famiglia Castiglioni fu chiara: sulle carene deve imperara la scritta "Cagiva", e nessun pu&ograve; deturpare la tinta. Fantastico, romantico, ma costoso. Anche perch&eacute; gente come Kocinski, Doug Chandler e Randy Mamola si fece ben retribuire. Eh gi&agrave;. Totale, quando l'azienda decise di investire in SBK sulla 916 - creando il mito di Carl Fogarty - niente pi&ugrave; mezzo litro, n&egrave; i 10 milardi di lire (bei tempi per l'Italia e la propria valuta) spesi all'anno. La classe regina avrebbe creato debito, poich&egrave; impossibile fronteggiare i colossi nippo. Per&ograve;, che soddisfazione averli battuti di tanto in tanto...  &nbsp; Tira &amp; molla Suzuki, ma quando i soldi sono spesi, arrivano le vittorie Test classe 500, inverno e non distante dalla primavera 1999. C'&egrave; rimasta impressa questa frase pronunciata da Kenny Roberts Junior, a cui dedichiamo relativa foto: "La Suzuki ci ha spedito tanto di quel materiale, che io e Nobu Aoki non sappiamo se riusciremo a provarlo tutto". Il californiano aveva lasciato Kenny Senior, per approdare alla corte di Hamamatsu, a cui port&ograve; l'alloro nel 2000. Si accorse subito che i dollari venivano spesi per lo sviluppo della RGV, nella volont&agrave; di pareggiare quanto fatto nel 1993 da Kevin Schwantz, sempre nel medesimo team gestito da Garry Taylor. Le imprese italiane di Marco Lucchinelli e Franco Uncini? Meravigliose! Ma la Casa voleva adeguarsi ai tempi. E lo fece anche in MotoGP, grazie al titolo vinto da Joan Mir nel 2020. A oggi l'ultimo della storia Suzuki, protagonista in 250, trionfante nella mezzo litro, finalmente sul tetto della MotoGP. Il Marchio era gi&agrave; uscito dal paddock, poi rientrato pi&ugrave; volte. Torner&agrave;? Noi diciamo "s&igrave;", confidando da chi sostiene che all'epoca a due tempi erano 20 milioni di dollari spesi l'anno, in MotoGP vennero sfiorati i 50. Salvo essere smentiti. A proposito: durante l'epopea GSV-R quattro tempi, lo stesso Roberts spar&ograve; di fronte ai giornalisti: "Mi pagano cos&igrave; tanto, che una parte dei miei guadagni potrei buttarla".&nbsp;  &nbsp; Ducati, spende in MotoGP e ha ragione nel farlo Foraggiata dall'acquisizione da parte di Audi, Ducati ha impostato una politica vincente in MotoGP, attuata pure in SBK: motociclette belle, competitive, vendute a prezzi ragionevoli. Mica sar&agrave; un caso vedere sulla griglia ben 8 Desmosedici, tutte competitive. La Casa di Borgo Panigale produce moto. Non &egrave; Honda, Suzuki, Yamaha e Kawasaki. Suzuki costruisce pure auto e barche. Per esempio. Ducati no. Quindi, ogni soldo &egrave; ponderato e speso in maniera oculata. L'ingresso in MotoGP risale al 2003, immediatamente rivelatosi intelligente e promettente. Il primo titolo arriv&ograve; nel 2007 insieme a Casey Stoner, qui in basso immortalato. Ancora vittorie di tappa, sino al dominio attuale. Seppur sotto effige "Top Secret", sar&agrave; attendibile il budget ventilato di 50 milioni all'anno?&nbsp;  &nbsp; KTM e Pierer Group possono spendere in MotoGP La presenza nel Motomondiale siglata KTM &egrave; da ritenersi giovane, se paragonata alla storia di - altro esempio - Honda. Fortissima in 125 e 250, altrettanto in Moto2, eccola in MotoGP. Una volta messo in piedi un vero team Factory, sono arrivate le gioie. A suon di denaro, parliamoci chiaro. Il Gruppo Pierer Mobility e Mattighofen possono permetterlo, poich&eacute; grandi venditori di pezzi fuoristrada e detentori di vari Marchi, tra cui GASGAS e KTM. I vertici vorrebbero in griglia sei RC16, non quattro. E vi arriveranno. Magari, mediante la scritta MV Agusta, altra Casa ad aver scritto pagine indelebili nelle competizioni. Il budget messo a disposizione del progetto Red Bull - la bevanda energetica ci mette del proprio - supera i 50 milioni annui. E la voglia di far vedere a tutti la bont&agrave; tecnologica profusa.  &nbsp; Aprilia, "cenerentola" MotoGP di tutto rispetto Anche qui, bisogna essere franchi: in un determinato periodo storico, Aprilia e piloti supportati avevano pochi rivali in 125 e 250. Le vittorie portate a Noale si sono sprecate "consumando" la pazienza altrui. Arriv&ograve; anche la 500, in realt&agrave; una bicilindrica sotto la cubatura massima, bella, ma saltuariamente al passo con le mezzo litro piene. Ed eccoci alla MotoGP, ricordate la RS Cube? Regis Laconi - meritevole di scatto - la port&ograve; al debutto, e ci accorgemmo di quanto fosse tecnologica la tre cilindri: forse troppo e, per stessa ammissione di Ivano Beggio, costicchiava. Saltando all'attuale e portentosa RS-GP, il discorso cambia. Aprilia si fa praticamente tutto in casa, demandando ad aziende esterne il minimo indispensabile. Parliamo di un vanto italiano, spinto dal Gruppo Piaggio, questo s&igrave; un colosso in termini di vendite in tutto il mondo di pezzi originali e comprovati. Il budget riservato al team &egrave; segreto, ma senza fatica lo stimiano sotto a quanto messo dalle rivali. Che soddisfazione mettersele dietro.  &nbsp; Kenny Roberts: persa la Marlboro, cominiciarono i guai L'ambizione di Kenny Roberts &egrave; tutt'oggi nota: vincere, massimizzando i mezzi a propria disposizione. Lasci&ograve; Yamaha al seguito di successi nelle vesti di pilota e team manager - anzi, proprietario - aprendo il team dotato di tre cilindri Modenas, pagato dalla multinazionale del tabacco. Benino con le due tempi, nonostante qualche rottura sarebbe stata da evitare, insieme a infortuni di chi guidava. Il propulsore grippava, sparando in aria i malcapitati. Stantacatasi della scarsa competitivit&agrave;, l'azienda sponsor decise di spostare capitali altrove. Ma in MotoGP. E lui, tra una avventura e l'altra, mica si arrese: il californiano mise addirituttura in pista un motore KTM incastonato in telaio artigianale, ammirabile nella tabella 67 di Shane Byrne. Coppe, trofei, podi, pole? Macch&eacute;, nulla di ci&ograve;, anzi: un cosiddetto "bagno di sangue", per fortuna solo monetario e, al pari di Honda per&ograve; al contrario, incalcolabile.&nbsp;  &nbsp; Kalex spende in Moto2 ma... guadagna Questo atelier tedesco si occupa di chassis, ovvero, telai. E lo fa molto bene, tanto da tenere quasi - bravo il team Speed Up e buono Forward - la totalit&agrave; di fornitura della Moto2. La bont&agrave; delle realizzazioni &egrave; stata apprezzata anche dal team Repsol HRC in MotoGP e, se i risultati non sono arrivati, i motivi sono pi&ugrave; complessi di un semplice pezzo. La strategia Kalex &egrave; semplice e chiara: vincere spendendo, guadagnando. Fornendo parti alla griglia della middle class, torna negli investimenti messi in campo, addirittura concludendo le annate col segno pi&ugrave;. Ottimo segnale, per una fabbrica che non ha dimensione esagerate. Come HRC, per esempio. Oppure, come spiegato dal saluto condiviso da Remy Gardner e Augusto Fernandez, bello &egrave; figurare per KTM, se il tealio &egrave; in realt&agrave; un Kalex. Quanto durer&agrave; l'avventura di Kalex, non lo sappiamo. Pi&ugrave; che altro, la domanda &egrave;: quanto sarebbe bello rivedere pezzi artigianali nella categoria regina a quattro tempi? Per come si &egrave; messa la situazione, forse, mai. Oppure, col cambio di regolamento invocato al 2027, chiss&agrave;...        

Honda su tutti sia nella 500 due tempi che nella MotoGP a quattro tempi. Seguono Yamaha, Kawasaki e Suzuki, Ducati si difende bene, KTM decisa a risalire la china

I Costruttori del Motomondiale con budget più elevato

Quanto siano forti le intenzioni di riportate in auge la MotoGP negli USA &egrave; spiegato dall&#39;ingresso della struttura Trackhouse, gi&agrave; esperta in tema di competizioni ad alto livello, nella popolare e parecchio ammirata NASCAR a quattro ruote. Da parte del promoter Dorna e ulteriormente spinta dall&#39;americano Dan Rossomondo, c&#39;&egrave; pure l&#39;idea di allestire un secondo Gran Premio a stelle e strisce, per valorizzare sponsor, contatti, contratti e TV di settore. Bello, ma non perfetto: sarebbe opportuno avere sulla griglia della top class un rappresentante locale degno di nota, mancante da troppo tempo.  Da Roberts a Hayden: gli americani vincitori nel Motomondiale  Sbarc&ograve; definitivamente in Europa, mostrando immediatamente quanto ne valse il viaggio dalla California. Kenny Roberts cominci&ograve; la striscia di successi marcati Stati Uniti d&#39;America, imponendosi da &quot;marziano&quot; detentore della 500 edizioni 1978, 1979 e 1980. il suo fu dominio, ad anticipare l&#39;arriv&ograve; di un altro fenomeno USA.&nbsp; Freddie Spencer dalla Lousiana, capace di triplo alloro: 1983 in 500 e la doppietta 1985 costituita da dueemmezzo e mezzo litro.  Venne il turno di Eddie Lawson, 4 volte campione del mondo. Tre i titoli consecutivi firmati da Wayne Rainey, l&#39;uomo di Monterey nato a Los Angeles. Il texano Kevin Schwantz vinse una volta, ma significativa: pari impresa per Kenny Roberts Junior, figlio d&#39;arte. Il passaggio alla MotoGP a quattro tempi ha in Nicky Hayden l&#39;ultima affermazione made in USA.&nbsp;  Da ricordare Steve Baker e la Formula 750 firmata nel John Kocinski, detto anche &quot;Little John&quot; o &quot;Big John&quot;, in base a risultati e humor. Dall&#39;Arkansas alla 250, in aggiunta al mondiale Superbike, conquistato pure da Ben Spies. Proprio &quot;Elbowz&quot; &egrave; l&#39;ultimo americano a imporsi in un Gran Premio: Assen 2011.    Da Pat Hennen a Joe Roberts: americani al successo nel Motomondiale  Pat Hennen era di Phoenix, Arizona, e amava il dirt track. Non disdegnava per&ograve; le &quot;gare stradali&quot;, affrontate in Patria e poi nel Vecchio Continente. Nel 1976 a Imatra, Finlandia, fu egli primo firmatario USA nel Motomondiale, capostipite di una generazione, anzi, almeno due, di talenti prodotti Oltreoceano capaci di ottenere vittorie o podi.  Citiamo in ordine sparso Randy Mamola, Mike Baldwin, Jim Filice, Doug Chandler, Scott Russell, Colin Edwards - due volte sul tetto SBK - Ben Spies. Attenzione ancora al texano perch&eacute;, come detto, nella MotoGP &egrave; l&#39;ultimo ad aver calcato il gradino pi&ugrave; alto del podio.&nbsp;  Joe Roberts - nessuna parentela con Kenny e Kenny Junior - ha dato agli Stati Uniti l&#39;ultima vittora mondiale, Portimao 2022 in Moto2, nonch&eacute; ultimo podio iridato, India 2023. Si era parlato di un suo passaggio al massimo prototipale, declinato. O rimandato, vedremo.    Beaubier e Gerloff: nessuna vera chance in MotoGP  Cameron Beaubier &egrave; tornato alle radici, a seguito di un paio di campionati spesi in Moto2, Scarso feeling con la categoria di mezzo, &quot;ibrido&quot; tra prototipo e derivato di serio. Grossi successi nel MotoAmerica per lui, corridoio aperto alla MotoGP, mai raggiunta.  Garrett Gerloff ha ritoccato le statistiche stelle e strisce in SBK, aggiudicandosi podi nel recente periodo. Il texano ebbe anche l&#39;opportunit&agrave; di guidare una MotoGP. Ne ebbe due: prove libere di Valencia 2020, in sostituzione momentanea di Valentino Rossi nel team Monster Energy, con risultati pi&ugrave; che incoraggiante. Assen 2021 con Petronas, conclusa al diciassettesimo posto.  I due ex compagni di box in patria, Beaubier e Gerloff, in realt&agrave; non hanno avuto modo o tempo di conoscere la MotoGP. Sean Dylan Kelly, traballante da una sella all&#39;altra, mai l&#39;avr&agrave;? Fino a quando gli americani non avranno un vero idolo da seguire, l&#39;interesse potr&agrave; si salire, per&ograve; mai decollare. Sperando di sbagliarci.    &nbsp; 

L&#39;ultimo titolato &egrave; Nicky Hayden, a Ben Spies la vittoria pi&ugrave; recente. Se il mondiale vuole (ri)farsi largo negli USA, ha bisogno di un degno rappresentante

A.A.A. pilota americano cercasi per la MotoGP

        Difficile se non impossibile scegliere solo 10 moto in oltre 100 anni di competizioni a due ruote, ci abbiamo provato scegliendo 10 moto da corsa che vanno dagli anni '80 ai giorni d&rsquo;oggi. Ci sarebbero moltissime moto meritevoli di stare in questa lista come la Honda 166, la BMW R75/5, la Moto Guzzi V8 o la Norton Manx ma sono perse nel passato ed &egrave; ormai raro anche per gli appassionati poterle vedere. Ecco dunque la nostra scelta, in ordine rigorosamente alfabetico: Aprilia RS 250 V Partiamo con una moto della quale abbiamo gi&agrave; dedicato un articolo completo sulla sua storia, la &ldquo;duemezzo&rdquo; di Noale ha corso dal 1993 al 2009 anno in cui la 250 ha corso la sua ultima stagione nel motomondiale. Bicilindrica da 249,6cc rigorosamente 2 tempi, 105cv nella sua ultima versione per poco meno di 100kg di peso ha letteralmente dominato la classe di mezzo vincendo 150GP su 290 a cui ha preso parte. Vincere con la moto di Noale &egrave; stato il trampolino di lancio per moltissime delle MotoGP Legend degli ultimi 20 anni: Max Biaggi, Loris Capirossi, Valentino Rossi e ancora Jorge Lorenzo e Marco Simoncelli che l&rsquo;ha portata alla vittoria con il marchio Gilera.  Aprilia RS Cube Restiamo in Veneto con la prima MotoGP della casa di Noale, la RS Cube fu un progetto forse troppo avanzato per le tecnologie dell&rsquo;epoca. Con l&rsquo;arrivo del 4t nel motomondiale e l&rsquo;introduzione della MotoGP, Aprilia decise, come qualche anno prima con la RS400 di andare controtendenza rispetto a quanto fatto dalle giapponesi. Se Honda e Yamaha scelsero rispettivamente un V5 e un 4 in linea, a Noale pensarono che un tre cilindri di derivazione Cosworth potesse essere sufficiente per lottare ad armi pari coi giapponesi. La moto nel 2002 era effettivamente la pi&ugrave; potente in pista ed era accreditata di 240cv con una velocit&agrave; massima che sfiorava i 330 km/h. Purtroppo la potenza &egrave; nulla senza il controllo e non bastarono soluzioni come il primo ride by wire o la frizione in carbonio a rendere le moto di Noale competitive in MotoGP.  Aprilia RSV4 Passiamo alle derivate di serie, anche qui Aprilia dice la sua con la RSV4, arrivata nel 2009 in listino e portata in gara da Max Biaggi e Shin'ya Nakano&nbsp;con la V4 di Noale il romano &egrave; riuscito a centrare un successo a Brno nella stagione di debutto della creatura di Gigi Dall&rsquo;Igna. Negli anni successivi il binomio tra la moto veneta e il pilota romano divenne quasi imbattibile permettendo a Biaggi di conquistare due titoli mondiali SBK. Iconica la stagione 2010 dove con una RSV4 sponsorizzata Alitalia, il corsaro conquist&ograve; il suo primo titolo nelle derivate di serie con 10 successi di manche e 4 podi. La SBK di Noale conquister&agrave; anche il titolo con Sylvain Guintoli nel 2014, facendo salire a 54 i titoli iridati di Aprilia.  Passa alla prossima pagina!&nbsp; &nbsp; Cagiva C594 Una delle moto italiane pi&ugrave; famose degli anni &rsquo;90, la Cagiva C594 &egrave; stata l&rsquo;ultima 500 della casa varesina. Telaio misto carbonio-alluminio (di cui abbiamo gi&agrave; parlato qui), motore 4 cilindri a V di 80&deg; 498,3cc ovviamente a 2 tempi alimentati da carburatori Mikuni TV da 39 a valvola piatta con power jet elettronico. La moto lombarda raggiungeva 185cv a 12.500 giri. Con la C594, Cagiva arriv&ograve; a lottare quasi ad armi pari con i colossi giapponesi tanto che John Kocinski termin&ograve; in terza posizione il campionato 1994. Le sue linee quasi senza tempo portarono la casa di Varese a riprenderle quando nel 2008 present&ograve; l&rsquo;ultima evoluzione della Cagiva Mito 125 SP525.  Ducati Desmosedici GP7 La prima moto iridata in MotoGP della casa di Borgo Panigale che con Casey Stoner nel 2007 conquist&ograve; 10 successi e 4 podi su 18 gare, con Loris Capirossi che festeggi&ograve; a Motegi l&rsquo;unico successo stagionale nel giorno in cui Casey Stoner vinse il titolo mondiale. Nel 2007 la MotoGP pass&ograve; da 990cc a 800cc e Ducati grazie alla propria distribuzione desmodromica riusc&igrave; fin da subito a mostrare una potenza ed una velocit&agrave; irraggiungibile per le case giapponesi. Motore portante V4 di 90&deg; e telaio ancora in traliccio di tubi d&rsquo;acciaio (il monoscocca in carbonio debutter&agrave; solo nel 2008) e gomme Bridgestone completarono un pacchetto che con il talento dell&rsquo;australiano in sella fu quasi imbattibile.  Ducati 916 Quando una moto, e le sue eredi, passano alla storia con il nome di &ldquo;serie perfetta&rdquo; ci sarebbe poco da aggiungere. La 916 e le successive 996 e 998, hanno fatto la storia del mondiale SBK tra il 1994 e il 2002 vincendo 6 titoli piloti in 9 anni di corse grazie a Carl Fogarty, Troy Corser e Troy Bayliss, ultimo a portare al successo la &ldquo;serie perfetta&rdquo; prima dell&rsquo;arrivo della 999 F03 che apr&igrave; un nuovo ciclo di vittorie per la casa di Borgo Panigale. Telaio ovviamente in traliccio di tubi d&rsquo;acciaio, motore bicilindrico a L con la cilindrata che &egrave; salita dai 916cc ai 998cc col passare degli anni. Sicuramente l&rsquo;essere la Ducati pi&ugrave; vincente della storia ha aiutato il successo commerciale, ma siamo certi che anche senza tutte quelle vittorie in pista le linee disegnate da Massimo Tamburini l&rsquo;avrebbero resa, ancora oggi, una delle moto pi&ugrave; belle di sempre.  Passa alla prossima pagina per le case giapponesi &nbsp; Honda RC211V 2002 La prima vera MotoGP, quando nel 2002 il motomondiale introdusse la nuova classe riservata ai prototipi da 990cc 4, HRC cre&ograve; un vero e proprio pezzo d&rsquo;arte contemporanea. Mentre tutte le altre case derivarono le loro prime MotoGP dalle 500, la casa dell&rsquo;ala dorata cre&ograve; da zero un nuovo progetto che si rivel&ograve; di fatto imbattibile. Motore V5 da 75,5&deg; in grado di erogare oltre 240cv, una ciclistica affilata con un telaio perimetrale in alluminio ed un peso contenuto a 148kg. Nella stagione di debutto vinse 14 gare su 16, ovviamente la maggior parte di queste, 11, se le aggiudic&ograve; Valentino Rossi mentre le restanti 3 se le spartirono il suo compagno di squadra nel team Repsol Toru Ukawa e Alex Barros che dopo aver iniziato la stagione con la &ldquo;vecchia&rdquo; 500 nel finale di stagione ricevette la RC211V e conquist&ograve; la vittoria a Motegi e Valencia.  Honda VFR750R RC30 Anche della VFR750R abbiamo gi&agrave; parlato ampiamente in un suo pezzo dedicato, la moto che nacque per volere di HRC per il mondiale Superbike e che si rivel&ograve; pressoch&eacute; imbattibile nei primi anni del mondiale delle derivate di serie e non solo. Con la RC30 arrivarono successi a raffica anche nelle road race e nel mondiale Endurance.  Suzuki RGV 500 Gamma Debutta nel motomondiale nel 1986 e termina la propria carriera nel 2001 al termine della vita delle 500 da GP. Nonostante una carriera cos&igrave; lunga, la moto di Hamamatsu conquist&ograve; solo due titoli mondiali, uno nel 1993 con Kevin Schwantz&nbsp;ed il secondo nel 2000 con Kenny Roberts Jr. Solo due titoli in quindici anni di carriera, eppure la RGV ancora oggi &egrave; una delle moto pi&ugrave; riconoscibili e amate dagli appassionati.  Yamaha R7 Ultima ma solo per ordine alfabetico una delle moto pi&ugrave; rare che ogni collezionista e appassionato vorrebbe in garage, la Yamaha R7. Nata alla fine del secolo scorso per disputare il mondiale SBK fu prodotta in soli 500 esemplari, il minimo necessario per l&rsquo;omologazione FIM. 4 cilindri in linea da 749cc, 5 valvole per cilindro ed una potenza che con il kit race raggiungeva i 135cv. La moto era figlia dell&rsquo;esperienza in 500 di Yamaha tanto che il telaio la ciclistica, soprattutto il telaio deltabox in alluminio era figlio delle geometrie della YZR500.        

Una sigla, un dettaglio, spesso per passare alla storia basta veramente poco o perlomeno cos&igrave; &egrave; per questi dieci modelli

Le 10 moto più iconiche di tutti i tempi

Nel paddock della MotoGP si &egrave; tornato a parlare di telai in carbonio. Non avveniva dal 2011 quando Ducati, ai tempi sotto la guida tecnica di Alessandro Cicognani, decise di passare dal telaio in fibra di carbonio ad uno scatolato in pi&ugrave; classico alluminio. Da allora la fibra di carbonio in MotoGP &egrave; stata utilizzata, oltre ovviamente che per le carene, principalmente per forcelloni e protezioni varie. Nei recenti test di Misano, invece, Aprilia ha portato in pista un telaio in fibra di carbonio che a quanto si &egrave; appreso potrebbe debuttare in gara gi&agrave; tra dieci giorni al RedBull Ring.  Prossimi appuntamenti MotoGP  La rigidezza sotto controllo?  Come detto la soluzione portata in pista da Aprilia non &egrave; una novit&agrave; assoluta nel motomondiale. Nel 1990 la Cagiva, allora guidata da Claudio Castiglioni, per provare a dare una svolta ad una stagione avara di successi nel motomondiale svilupp&ograve; insieme alla Ferrari una versione della C590 con telaio e forcellone in fibra di carbonio che debutt&ograve; nel GP di Cecoslovacchia. Il progetto venne per&ograve; velocemente cestinato dai piloti perch&eacute; ritenuto troppo rigido. Questo &egrave; uno dei problemi principali del pregiato materiale composito: la gestione della rigidit&agrave;. Per comprendere meglio questo aspetto &egrave; fondamentale introdurre un termine che ai pi&ugrave; suoner&agrave; nuovo ma che in fisica e soprattutto in progettazione &egrave; assai diffuso: anisotropia.  L&rsquo;anisotropia &egrave; la propriet&agrave; per la quale un oggetto, un telaio nel nostro caso, ha delle caratteristiche che dipendono dalla direzione in cui vengono considerate. I telai delle moto si flettono (e all&#39;occorrenza &egrave; importante che lo facciano) in diversi punti e soprattutto in diverse direzioni. Se in fase di frenata essi ricevono una forza che spinge dal retro all&rsquo;anteriore forzando la parte superiore del telaio nella zona del cannotto di sterzo, mentre la moto &egrave; in piega sono le travi laterali a subire le forze maggiori mentre, &ccedil;a va sans dire, in fase di accelerazione a subire il maggiore stress &egrave; la parte posteriore a cui &egrave; ancorato il forcellone. Queste diverse necessit&agrave; di torsione e flessione mal si sposano con le caratteristiche della fibra di carbonio che, come detto, &egrave; un materiale anisotropo e mal digerisce le forze provenienti da pi&ugrave; punti. Il carbonio &egrave; si molto leggero ma le propriet&agrave; di flessione e torsione sono pressoch&eacute; unidirezionali.    QUARTARARO SI &quot;&Egrave; ROTTO&quot; DI YAMAHA: QUANTO DURER&Agrave; FABIO SULLA M1?  Le soluzioni usate nel passato  In Cagiva invece, dopo il primo tentativo del 1990, non si arresero e cercarono di trovare una nuova soluzione per utilizzare la fibra di carbonio nella propria 500GP. Con la C594 debutt&ograve; un telaio misto alluminio/carbonio: una soluzione nata in collaborazione con Ferrari Engineering, che prevedeva la parte anteriore, dal cannotto di sterzo fino ad oltre met&agrave; delle travi laterali, realizzata in carbonio e incollata (con un procedimento al periodo sperimentale e mutuato dalla F1) alla zona &quot;posteriore&quot; che comprendeva anche le piastre di supporto del forcellone . Una soluzione che permise a Cagiva di ottenere la rigidit&agrave; necessaria nelle fasi di staccata ma anche la giusta flessibilit&agrave; nelle curve, oltre a intervenire pi&ugrave; facilmente in caso di eventuali modifche alla struttura. Con questa soluzione infatti la casa varesina ottenne i migliori piazzamenti della propria storia nel motomondiale, chiudendo in terza posizione il campionato con John Kocinski.    Per cercare rigidit&agrave;, in Ducati si scelse di adottare la fibra di carbonio per la realizzazione della monoscocca anteriore delle Desmosedici dalla GP9 alla GP11, e per risolvere il problema dell&#39;anisotropia negli anni si prov&ograve; ad intrecciare la fibra di carbonio in diverse direzioni cercando di trovare il giusto compromesso per ogni fase della guida. Complice l&rsquo;insorgere dei problemi di salute di Casey Stoner, la GP9 non riusc&igrave; a brillare come la sorella col telaio in traliccio che diede il titolo nel 2007 al pilota australiano. E quando nel 2011 sulla moto di Borgo Panigale arriv&ograve; Valentino Rossi, il telaio in carbonio venne velocemente accantonato in favore prima di uno scatolato in alluminio e poi in un pi&ugrave; consueto doppia trave sempre in alluminio.    L&#39;esperimento BMW  In epoca pi&ugrave; recente, infine, l&#39;ultima casa a provare la realizzazione di un telaio perimertale completamente in carbonio &egrave; stata BMW con la HP4 Race. Una &quot;SBK Replica&quot; che rispetto alla moto del mondiale SBK adottava un telaio realizzato completamente in fibra di carbonio. La moto, prodotta in tiratura limitata di 750 esemplari, ovviamentte non debutt&ograve; mai nel mondiale SBK ma corse al Tourist Trophy con Peter Hickman e in Italia nel National Trophy con Luca Salvadori. La HP4 Race resta l&#39;ultima vera moto da corsa prodotta con telaio in carbonio, per la casa tedesca per&ograve; questa rimase una one-off ed il progetto HP4 venne presto accantonato.    UFFICIALE&nbsp;LEX MARQUEZ RINNOVA CON GRESINI RACING PER IL 2024  Aprilia come Cagiva?  Dalle foto trapelate nei test di Misano, sembrerebbe che la RS-GP &ldquo;Carbon&rdquo; abbia un approccio simile a quello della Cagiva C594. In realt&agrave; &egrave; difficile capire se la zona di fissaggio del forcellone sia anch&rsquo;essa in carbonio o come pare da alcuni dettagli con una parte finale in alluminio come la Cagiva C954. Ci&ograve; che Aprilia sembra ricercare &egrave; rigidezza che tuttavia, come &egrave; gi&agrave; stato detto, con la fibra non &egrave; facile da gestire nonostante gli importanti passi in avanti. Se originariamente il telaio in carbonio sembrava destinato a debuttare nel 2024, a Silverstone si &egrave; iniziato a parlare di un&rsquo;accelerazione nei test in pista con Aleix Espargaro e Maverick Vinales che potrebbero averlo gi&agrave; a disposizione in Austria tra pochi giorni. Aprilia &egrave; tornata alla vittoria proprio lo scorso weekend a Silverstone e queste novit&agrave; potrebbero ridare slancio alla stagione fin qui in chiaro-scuro.  &nbsp;   Neste momento temos Lorenzo Savadori a testar chassis de carbono para a Aprilia! Interessante. #MotoGP pic.twitter.com/L5BY4AjRkC &mdash; Motogp Portugal Podcast (@PortugalMotogp) August 2, 2023   

La casa di Noale al RedBull Ring potrebbe portare in pista la moto provata da Savadori a Misano, una soluzione che in passato la casa varesina e Ducati hanno poi bocciato

Il telaio in carbonio funziona? Dalla Cagiva C590 all&rsquo;Aprilia RS-GP, 30 anni per scoprirlo

        Hungary is dreaming big. The Hungaroring, the stage for the F1 until 2027, also wants to host the MotoGP in the near future. &nbsp; Hungaroring, F1 and MotoGP together In the last few days, the circuit has in fact announced a change of ownership, now belonging to the State Department for Sport, which is part of the Hungarian Defense Department. Thanks to this change of ownership, the Hungaroring will now undergo important maintenance work as of July 2023. The planned work includes a new pitlane and an updated control tower and media centre as well as a new main entrance. The renovations will be completed in phases between one F1 event and the next, with the work expected to be completed ahead of the 2026 race. Hungaroring: a &lsquo;return&rsquo; to MotoGP? The Government has stated that it is aiming to raise the track to the standards required for MotoGP, doing away with the previous project that would have seen world championship races play out at the new track of Debrecen. This would not be a true first appearance for the Hungaroring on the two-wheeled calendar, as the Hungarian track already hosted the world championship in 1990, when Loris Capirossi won in the 125 class, John Kocinski in 250 and Mick Doohan in 500, and in 1992, when the winners were Alessandro Gramigni (125), Luca Cadalora (250) and Eddie Lawson with the legendary Cagiva (500). Here below, a video outlining the scheduled restructuring works.        

The historic Hungarian track seeks to return to the world championship. Here&rsquo;s how

MotoGP: the Hungaroring wants in on the calendar, F1 not enough

        L'Ungheria sogna in grande. L'Hungaroring, sede del Gran Premio di F1 fino al 2027, punta a ospitare anche la MotoGP nel prossimo futuro. Calendario MotoGP 2023 Hungaroring, F1 e MotoGP insieme  Infatti, nei giorni scorsi &egrave; stato annunciato il cambio di propriet&agrave; del tracciato magiaro, che adesso appartiene alla Segreteria di Stato per lo Sport, facente parte del Dipartimento della Difesa ungherese. Grazie a questo cambio di propriet&agrave;, l'Hungaroring si prepara a subire importanti lavori di manutenzione, che inizieranno dopo luglio 2023. I lavori previsti includono una nuova pit lane, torre di controllo e media center rinnovati, pi&ugrave; un nuovo ingresso principale. La riqualificazione sar&agrave; completata a fasi intermedie tra un Gran Premio d'Ungheria F1 e l'altro, con una data di completamento prevista prima della gara del 2026. Hungaroring: un "ritorno" in MotoGP?  L'obiettivo dichiarato del Governo &egrave; portare la pista agli standard richiesti per ospitare la MotoGP, scartando il precedente progetto che prevedeva di far disputare le gare del Motomondiale sul nuovo circuito di Debrecen. Quello dell'Hungaroring non sarebbe un debutto assoluto nel calendario del Circus delle due ruote: infatti, il circuito ungherese aveva ospitato il Motomondiale nel 1990, con vittoria di Loris Capirossi in classe 125, John Kocinski in 250 e Mick Doohan nella 500, e nel 1992, quando a vincere furono Alessandro Gramigni (125), Luca Cadalora (250) ed Eddie Lawson con la mitica Cagiva (500). Di seguito, il video in cui vengono esposti i lavori di ristrutturazione previsti.  MotoE: la Ducati V21L batte la Moto3 a Barcellona       

Lo storico tracciato ungherese punta a rientrare nel giro del Motomondiale. Ecco come

MotoGP: l'Hungaroring vuole tornare in calendario, la F1 non basta

        Era il 1988, e all&rsquo;Autodromo di Imola si disputava una gara tiratissima della classe 500, vinta da Eddie Lawson davanti a Wayne Gardner e Wayne Rainey. Al traguardo arriv&ograve; in Top 10 la Cagiva C500 del francese Raymond Roche che, dopo la bandiera a scacchi, rallent&ograve; e come tutti si rialz&ograve; per percorrere a bassa andatura il giro d&rsquo;onore. Purtroppo per il francese, in una frazione di secondo il pubblico dovette assistere scioccato a un incidente spaventoso. Il giapponese Tadahiko Taira tagli&ograve; il traguardo a 250 km/h ma non vide n&eacute; i cartelli del suo box e nemmeno la bandiera a scacchi, proseguendo a gas spalancato verso il gruppo che aveva ormai rallentato. Come una bomba arriv&ograve; sul francese, distruggendo la propria moto e quella di Roche, in una nuvola di detriti e pezzi di plexiglass. I due restarono distesi a terra e vennero subito soccorsi dal dott. Costa che cap&igrave; come la peggio l&rsquo;avesse avuta il pilota della Cagiva. Roche rimase per mesi in ospedale, per provare a tornare in sella soltanto a fine stagione ma dovette dare forfeit alla sua carriera in 500. SBK: Troy Bayliss, l'uomo con la valigia Lo "spostamento"   Non tutti sanno che Claudio Castiglioni (patron della Cagiva e della Ducati) era un personaggio davvero particolare. Un vero Mecenate, che quando si legava a un pilota lo considerava come un figlio e non lo abbandonava mai, qualunque cosa succedesse. Ne sanno qualcosa Marco Lucchinelli, Virginio Ferrari, John Kocinski e soprattutto Giancarlo Falappa, che dopo l&rsquo;incidente ha ricevuto un vitalizio dalla Ducati. Quindi Roche, coinvolto in quel tremendo incidente di Imola mentre era in sella alla Cagiva di Castiglioni, l&rsquo;anno successivo venne spostato sulla Ducati 851 che Lucchinelli stava portando in gara agli albori della Superbike. Una moto meno esasperata e performante della 500, con la quale Roche riprese fiducia, ritmo e, decisamente, velocit&agrave;. Il francese entr&ograve; in pianta stabile nel Mondiale delle derivate 1989 con la squadra ufficiale di Lucchinelli. Cinque vittorie di manche, ma sempre troppi ritiri per la bellissima 851 di Borgo Panigale, che si ammutoliva troppo spesso senza motivo. Roche termin&ograve; comunque sul podio mondiale con il terzo posto finale. Durante l&rsquo;inverno in Ducati capirono come tutti i problemi della 851 fossero causati da interferenze radio e magnetiche che resettavano le centraline elettroniche. Riuscirono a schermarle totalmente e nel 1990 la musica cambi&ograve; a vantaggio della bicilindrica Desmo di Borgo Panigale. Fin dalla gara di apertura a Jerez, dove Roche dopo la pole position piazz&ograve; una fantastica doppietta che lo lanci&ograve; subito in testa al Mondiale. I grandi avversari erano il due volte iridato Fred Merkel che fino al Giappone diede del filo da torcere al francese, poi per&ograve; un brutto infortunio alla 8 Ore di Suzuka lo mise ko. La stagione del successo iridato&nbsp;   Emerse cos&igrave; il velocissimo brianzolo Fabrizio Pirovano con la Yamaha Valli preparata da Peppo Russo. Un testa a testa che vide Pirovano attaccare Roche a suon di vittorie, con la doppietta nella sua Monza, dove venne portato in trionfo. Ottima anche la stagione del belga St&eacute;phane Mertens con l&rsquo;altra Honda RC30. Durante la stagione apparve e subito svan&igrave; la stella di Falappa, compagno di squadra di Roche. Il velocissimo marchigiano si infortun&ograve; una prima volta in Canada a Mosport per poi subire un terribile incidente il giorno del suo compleanno a Zeltweg, dove rimedi&ograve; fratture agli arti. Firmata da Roche, la prima vittoria di una Casa come la Ducati, per dimensioni inferiore ai colossi giapponesi, nella Superbike ebbe una eco mondiale che provoc&ograve; un interesse smisurato nei confronti dell&rsquo;azienda italiana. In effetti la Ducati 851 aveva avversarie bellissime ed evolute come la V4 Honda RC30 (due volte titolata) e la quattro cilindri frontemarcia Yamaha OW-01, oltre a Bimota e Kawasaki. Gli inglesi per il mondiale SBK avevano coniato un motto molto azzeccato che rendeva perfettamente l&rsquo;importanza di questo campionato: &ldquo;Win on Sunday, sell on Monday!&rdquo;. Ovvero, molto semplicemente, vinci la domenica e vendi il luned&igrave;. In effetti ogni vittoria nel mondiale SBK si ripercuoteva immediatamente in un&rsquo;impennata nelle vendite delle supersportive inducendo le Case a impegnarsi maggiormente in questo particolare Mondiale riservato alle derivate dalla produzione di serie. Castiglioni, titolare della Cagiva e della Ducati, lo aveva capito benissimo e il suo impegno a 360&deg; nelle competizioni con la splendida Cagiva 500 e la Ducati 851 aveva dato i frutti sperati. Grazie al successo ottenuto con Roche, Castiglioni fu subissato di richieste per la sua 851, considerata un prodotto velocissimo e speciale al pari di una Ferrari. Oltre a incrementare gli sforzi nel reparto corse riusc&igrave; a convincere gli organizzatori a portare la cilindrata per le moto a due cilindri da 851 a 888 cm&sup3; con un&rsquo;evoluzione pronta per il 1991. Bisogna riconoscere che quella prima lontana vittoria della &ldquo;strana coppia&rdquo; Lucchinelli-Roche ha avuto un&rsquo;importanza basilare per la storia del mondiale SBK e della Ducati. Da quel primo titolo &egrave; nato un fantastico duello durato oltre 20 anni tra la piccola italiana Ducati e il colosso mondiale Honda. Una battaglia cavalleresca che ha infiammato il pubblico di tutto il Mondo. Prove Amarcord: la Ducati 1098R F08 di Troy Bayliss       

Passato dal Mondiale 500 alla Superbike, il francese ripag&ograve; la fiducia del patron Castiglioni, regalando a Borgo Panigale il primo storico trionfo iridato

Ducati Story: Raymond Roche e il trionfo in SBK nel 1990

        MotoGP e SBK, entrambe da affrontare sfoggiando il numero 1. Ducati pu&ograve; farlo in questo 2023, grazie ai titoli vinti da Pecco Bagnaia e Alvaro Bautista lo scorso anno. L'italiano e lo spagnolo hanno portato a Borgo Panigale il massimo disponibile e, giustamente, lo vogliono raccontare proponendo l'unico numero non assegnabile d'ufficio. Solo Honda lo fece, per&ograve;... Lawson e Merkel: doppio 1 per Honda nel 1989, ma...   Ma Eddie Lawson, in realt&agrave;, port&ograve; l'uno (1) da Yamaha, in quanto campione in carica della classe 500 edizione 1988. L'americano lasci&ograve; la Casa dei tre diapason, abbracciando l'Ala dorata, senza farsi problemi. Numero 1 su cupolino, carena e codone, a dispetto del titolo ottenuto insieme alla diretta rivale. Dall'altra parte, cio&egrave; in SBK, un secondo americano si impose su tutti. Si tratta di Fred Merkel, all'epoca in trionfo sulla RC30 del team Rumi. La Honda preparata dalla formazione bergamasca, quindi, nella stagione successiva spar&ograve; il numero 1. Per il gigante di Tokio fu una sorta di doppietta ma, come precisato, met&agrave; del merit&ograve; arriv&ograve; da Iwata. Ancora Honda 1996: Fogarty e Doohan doppio 1, per&ograve;...   Carl Fogarty biss&ograve; nel 1995, quanto realizzato gi&agrave; nel 1994 a bordo della 916: vincere con e per Ducati il mondiale SBK, appiccando il numero 1 qua e l&agrave;. Per&ograve; pure qui c'&egrave; un ma: l'inglese a fine 1996 si trasfer&igrave; in Honda, vestendo i colori Castol HRC nelle derivate di serie. Nella mezzo litro, ecco Michael Doohan, uno a cui piaceva tanto il numero 1. L'australiano dei suoi cinque allori si trovava al secondo e, proprio in quel 1996, lo ricord&ograve; al pubblico con la tabella pi&ugrave; ambita attaccata alla NSR. A Tokio beneficiarono nuovamente del doppio #1#, seppur con l'aiuto di Ducati. Quartararo e Razgatlioglu: doppio 1 per Yamaha? Macch&eacute;   Anche il 2021 ha scritto pagine importanti. Basti pensare che Fabio Quartararo abbia fatto suo l'alloro della MotoGP, riportandolo a Iwata e in Francia. Con la Yamaha M1, El Diablo si &egrave; fatto sicch&eacute; incoronare, ma anche qui c'&egrave; un per&ograve;. Quarta, da titolato in carica, nel 2022 ha tenuto il "suo" 20. Peccato, perch&eacute; Toprak Razgatlioglu ha fatto il contrario. Il turco, essendo l'iridato SBK 2021, ha preferito "lasciare" il suo 54 sulla R1, prendendo il numero 1, poi perso nel 2022 a favor di Alvaro Bautista. Abbiamo detto "peccato", dato che per Yamaha si sarebbe trattato di un evento di immagine storico, proposto invece da Ducati. Honda 1997 e 2003: occasione perse da doppio 1  Valentino Rossi apr&igrave; le pagine della MotoGP vincendo il primo titolo di categoria a quattro tempi nel 2022. Il marchigiano guidava una Honda RC 211V, e l'anno successivo a bordo dello stesso modello, continu&ograve; con l'iconico numero 46.&nbsp; Contestualmente, Colin Edwards regol&ograve; la concorrenza in SBK, previo utilizzo della VTR SP-2. La bicilindrica giapponese piaceva al texano, ma il passaggio di carriera in classe regina per Aprilia gli imped&igrave; di tenere il numero 1 gi&agrave; sfoggiato nel 2001, mantenendo il 45. Ci fu un'altra sincro malcelata. John Kocinski e la RC45 dell'Ala dorata conquistarono la SBK del 1997. Il nativo di Little Rock, anche campione 250, torn&ograve; alla 500, non potendo sicch&eacute; usare il numero 1. Perch&eacute; nella mezzo litro il campione era Mick Doohan, che invece us&ograve; il numero 1. Honda perse un'altra occasione.       

La Rossa affronta il 2023 con la tabella dei campioni nei ptotitipi e nelle derivate di serie. Solo Honda lo fece nel 1989, ma con i "contributi" Yamaha e Ducati

MotoGP & SBK: Ducati, doppio 1 mai visto nella storia

        La copertina Motosprint numero 50 &egrave; dedicata a Kevin Schwantz. In un&rsquo;intervista esclusiva al nostro giornale, il campione iridato della classe 500 cc con la Suzuki, diventato icona del motociclismo degli anni 90 grazie ai suoi memorabili duelli con Wayne Rainey, Mick Doohan e John Kocinski, ha parlato a tutto tondo del periodo che l&rsquo;ha portato sul tetto del mondo in sella alla RGV 500 &ldquo;targata&rdquo; Lucky Strike. Spazio anche ai ricordi dei suoi rivali pi&ugrave; difficili da battere (uno su tutti, proprio il suo avversario storico Rainey, sfortunato protagonista della caduta a Misano che gli fece dire addio alla carriera) e dei piloti ai quali avrebbe &ldquo;preso&rdquo; volentieri qualche talento. Come, ad esempio, Max Biaggi, del quale Schwantz ha invidiato lo stile di guida pulito ed efficace. Poster doppio dedicato a Schwantz e i pagelloni Superbike  Allegato al prossimo numero di Motosprint anche un poster doppio, dedicato proprio a Schwantz: da un lato, Kevin in azione con la moto con cui vinse il titolo mondiale nel 1993, dall&rsquo;altro sempre il texano con la RGV sponsorizzata Pepsi della stagione 1989, una delle prime che lo consacr&ograve; tra i &ldquo;grandi&rdquo; della mezzo litro. Ma su Motosprint 50 si parla anche della KTM MotoGP e dei suoi obiettivi per il 2023, della Superbike con il &ldquo;pagellone&rdquo; di fine anno, dell&rsquo;addio della Clinica Mobile e poi del Trofeo Motoestate, di tecnica, cross, dei FIM Awards andati in scena a Rimini e della prova su strada della BMW M 1000 R. In edicola, da marted&igrave; 13 dicembre.       

Il texano, campione del mondo della 500 con la Suzuki nel 1993, &egrave; protagonista di un&rsquo;intervista a 360 gradi sulla sua carriera, i rivali e il periodo d&rsquo;oro dei piloti statunitensi nel Motomondiale. Sul prossimo numero di Motosprint c&rsquo;&egrave; anche il poster doppio a lui dedicato

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